Indagati i vertici della Protezione Civile: avrebbero orientato gli appalti per favorire ditte amicheVengono proprio in mente le parole di Mario Borghezio sulla ricostruzione dell’Aquila e gli abruzzesi come “peso morto”, incapaci di fare da soli nel ricostruire, mentre Giuseppe Caporale di Repubblica ci consegna l’ennesima storiaccia nata intorno alla ricostruzione della città, ancora una volta sotto indagine, stavolta per i sistemi antisismici con cui sarebbero state costruite le famose C.A.S.E., che oltre a cadere in pezzi non sarebbero nemmeno sicure:
I settemila isolatori sismici installati nelle 185 palazzine post-terremoto realizzate dal Governo Berlusconi sono illegali. E la Protezione Civile — che ha gestito a L’Aquila il più grande cantiere d’Europa degli ultimi anni — è sotto inchiesta. Due esponenti al vertice del Dipartimento sono stati iscritti nel registro degli indagati della Procura aquilana con l’accusa di «frode nelle pubbliche forniture ». Si tratta di Gian Michele Calvi, il “padre” del Progetto C.a.s.e. — che attraverso un consorzio creato ad hoc dalla Protezione Civile ha gestito direttamente tutti gli appalti — e di Mauro Dolce, capo dell’ufficio rischio sismico del dipartimento. Ad accusarli, un dossier del Gico (Gruppo di Investigazioni sulla Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza) de L’Aquila, con all’interno decine di documenti sequestrati sia presso il dipartimento delle Opere Pubbliche del ministero delle Infrastrutture, sia presso la sede della Protezione Civile, sia in alcune aziende coinvolte nella vicenda.
Agli atti dell’indagine c’è anche una lettera di una ditta concorrente, che ha perso la gara per gli appalti proprio a causa, secondo quanto scrive, delle scelte contenute nei capitolati: “«Il prezzo di gara è stato orientato in modo da condizionare la fornitura solo sulla scelta del friction pendulum (fornito in Italia solo da due società Alga e Fip aggiudicatarie poi dell’appalto per 13 milioni di euro, ndr) — è scritto nella lettera — e ci riesce veramente difficile credere che ciò sia stato fatto senza cognizione di causa. Ciò sta a palesare una precisa volontà a forzare una tecnologia “nuova” per imporla sul mercato come unica soluzione possibile. Ci sembra dunque davvero avventato affidare l’intera iniziativa per L’Aquila ad una tecnologia che ha evidenti limiti». Una tecnologia omologata in Italia solo dopo la realizzazione delle C.A.S.E., con l’Abruzzo che sarebbe stato usato come cavia. E ora chi glielo dice, a Borghezio?
giornalettismo.
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