Lo sapevamo. Sapevamo cos´era successo a Yara, e cercavamo di non pensarci, di dimenticarlo, finché il caso non avesse deciso di sbattercelo in faccia. Il caso: stavolta si è servito di un aeromodellista, che è uscito di casa un sabato pomeriggio per provare un aeroplanino e ha trovato gli amabili resti di Yara Gambirasio – in un campo incolto, con quei vestiti indosso e tutti i macabri dettagli che d´ora in poi gonfieranno giornali e notiziari. Lo sapevamo. Lo sapevamo anche se dicevamo di sperare ancora, e continuavamo a cercarla: Yara è stata uccisa. Quelli che indagavano lo sapevano così bene che già tre mesi fa, dieci giorni dopo la sua sparizione, hanno fatto tornare indietro un traghetto per arrestare un innocente. Lo sapevano tutti: il male si è manifestato a Brembate di Sopra, il 26 novembre, in quel modo classico, ormai, al quale siamo abituati – il mostro, il vampiro –, e noi lo sapevamo benissimo.
Mancava solo il cadavere, e solo per questo riuscivamo a portare quel minimo di rispetto alla famiglia che aveva chiesto il silenzio – solo per questo non sono stati slegati i cani. Ma era tutto pronto, e da oggi ogni trasmissione televisiva, ogni talk show, ogni rubrica di rivista o rotocalco si metterà a scavare accanitamente in questo orrore e farà scempio del dolore di un´altra famiglia italiana centrata in pieno dal meteorite del male. Gli inquirenti andranno nel pallone. Scenderà in campo la Polizia Scientifica, con la sua scienza della compatibilità. Spunterà il sesso. Spunteranno plastici, criminologi, psicologi, spunteranno sospetti e accuse, e le iniquità più irripetibili verranno dette e ripetute. Qualcuno verrà arrestato. Confesserà, oppure non confesserà. Se non confesserà si potrà prolungare la macabra danza del cold case; ma anche se confesserà, pur di non far cessare quello squallido rito di elaborazione del male, molti non gli crederanno, diranno che starà coprendo qualcuno, che è stato un delitto di branco, di camorra, di ambito familiare, e pretenderanno di scavare a oltranza, per sapere, per scoprire. Il lavoro verrà fatto fino in fondo, come è stato fatto con Sara, con Chiara, con Meredith, con Simonetta, con tutte le altre, e con tutti i bambini. Durerà anni. Forse alla fine un colpevole verrà trovato, forse no, ma intanto Yara non riposerà in pace, e la sua famiglia non potrà piangerla in pace, né vivere il lutto come dovrebbe essere vissuto. Oh, io prego affinché tutto questo non succeda, e a partire da oggi il rispetto e la pietà abbiano la meglio sul demone dell´approfondimento: ma so che invece andrà così, perché ormai questa civiltà dei media è malata, e la sola reazione che riesce a opporre al male che si manifesta è aggiungercene altro.
da La Repubblica del 27 febbraio 2011
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