La polizia fa sparire i cadaveri per eliminare le prove dell’eccidio.
La paura la vedi in quelle saracinesche abbassate, nelle file davanti ai panifici, nel silenzio irreale di una città pur sempre maghrebina, caotica e caciarona. La paura è dietro quelle mitragliatrici antiaeree montate su due «Tecnica», tipo pick-up, piazzate ai lati del ministero degli Esteri. La paura, quella sì davvero palpabile, l’avverti alzando gli occhi al cielo, intorno alle tre del pomeriggio, scoprendo il passaggio di mostri volanti, giganteschi elicotteri che trasferiscono truppe in direzione Sud-Ovest della città. Probabilmente verso Zawia, a una quarantina di chilometri da Tripoli, colonia di bengasini trasferitisi all’indomani del golpe del colonnello Gheddafi che depose re Idris I dei Senussi. E teatro di violenti combattimenti in questi ultimi giorni. O diretti a Sabratha, o ancora a Misurata che sarebbero in mano ai rivoltosi. Tripoli che si sente assediata e insicura era andata a dormire con il tentativo disperato di Seif Al IslamGheddafi di imporre una tregua. E di rilanciare il dialogo e il negoziato con i rivoltosi, riproponendo in sostanza le riforme annunciate dal Leader prima che scoppiassero l’inferno e lamattanza: Cirenaica indipendente e federalismomolto spinto. Seif il riformatore ha sentito fortissimamente il richiamo della foresta, riposizionandosi a difesa del padre e del regime nella sua prima conferenza stampa a Tripoli. E proponendosi l’altra sera come mediatore. La tecnica è quella classica del bastone e della carota. Poche ore prima della sua proposta, infatti, aveva parlato il padre in Piazza Verde. I toni erano stati violenti: «Ammazzeremo i cani traditori».
Comunque , l’appello alla tregua annunciato l’altra notte ha retto molto poco se quegli elicotteri che sorvolavano il centro ieri pomeriggio stavano trasferendo truppe d’assalto in un’area operativa. Chi l’avrebbe immaginato che il ciclo di Muammar Gheddafi si aprisse con un golpe incruento, senza vittime, e si concludesse con un bagno di sangue di queste dimensioni. Per tutto il suo ciclo, il regime libico si era sfamato di retorica anticolonialista e di accuse per i crimini commessi dagli occupanti (italiani soprattutto). E proprio la Cirenaica che tanto ha sofferto per i crimini italiani si è rivoltata contro il Leader.
Colpisce lamattanza che ha i connotati ormai di guerra civile. E colpisce il disfacimento del regime in tempi così rapidi da fare impressione. La sua diplomazia è annichilita di fronte all’evidenza della mattanza. Deve avere dimensioni inaccettabili se tante scorze dure hanno deciso di abbandonare il Leader. Questa volta Gheddafi non se la può prendere con i sionisti, oppure adesso con Al Qaeda, se è vero che il cuore del suo sistema lo sta abbandonando, avendolo già condannato per crimini di guerra. Personaggi come Abdurrahman Shalgam, una carriera diplomatica e di governo, da console a Palermo ad ambasciatore a Roma, da ministro degli Esteri a rappresentante della Libia alle Nazioni Unite. Come Hafed Gaddur, ambasciatore a Roma, e poi gli ambasciatori in Germania, Grecia, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Malta. Tutti hanno abbandonato la nave: «Come soldati leali al servizio dell’unità nazionale, della libertà e della sicurezza della Libia. Noi rimarremo al nostro posto per servire il nostro popolo nei Paesi in cui siamo e nei quali rappresentiamo il popolo libico. Dio abbia misericordia dei martiri del popolo libico». È il segno dei tempi che proprio i più importanti diplomatici del regime mettano sotto accusa la mattanza, i massacri di Gheddafi. E dire che questa filiera, o una parte di essa, è sempre stata considerata legata alla cordata riformatrice del regime rappresentata da Seif Al IslamGheddafi. È guerra civile, ormai. Ne ha tutti i connotati. E per come si sono messe le cose sembra difficile che possa finire senza vincitori e vinti. Qual è la vera posta in gioco? L’indipendenza della Cirenaica o la cacciata del raiss? Quanto è complicata la realtà libica. Pensate che quella che si presenta non è una guerra tra buoni e cattivi, tra despoti e popoli oppressi. Non è solo questo. Perché poi bisogna aggiungere almeno un paio di varianti molto locali: il posizionamento nel conflitto delle varie tribù e la legge del sangue, ovvero che a decidere il prezzo del sangue versato sia la famiglia della vittima.
Le tribù, che hanno avuto un ruolo decisivo nella società libica, e che Gheddafi è riuscito sapientemente a soddisfare, attento alla legge dei bilanciamenti e delle gratificazioni, oggi sono nei fatti l’ago della bilancia della guerra civile in corso. Sono 3, delle 140, le tribù principali: Qadhadhfa (ne fa parte lo stesso Gheddafi); Maghraha e Warfalla. In Cirenaica è forte la tribù Beni Salim, in Tripolitania quella Beni Hilal. I veri combattimenti, Tripoli li ha vissuti domenica scorsa. Si sparava in tutti i quartieri. Poi è calato il silenzio. L’opposizione, che non è identificabile semplicemente nei rivoltosi della Cirenaica, si è raccolta attorno alle moschee. Come venerdì, quando poi in corteo un centinaio di islamisti radicali ha cercato di raggiungere Piazza Verde ed è stato fermato da una sventagliata di kalashnikov delle forze di polizia. E ci sarebbero statimorti e feriti. Il giorno dopo la sparatoria, in piazza Algeri, scampoli di verità affiorano dalle testimonianze. Sembra che avendo puntato i kalashnikov ad altezza d’uomo, i poliziotti abbiano poi intimato ai manifestanti di trascinare i corpi delle vittime negli androni, per far sparire i cadaveri. Vengono i brividi che fanno accapponare la pelle. Se fosse vero, l’ipotesi che prima o poi scopriremo l’esistenza di fosse comuni si famolto realistica. In Piazza Verde, la piazza della Rivoluzione, ci sono i lealisti di Sebha, la capitale del Fezzan, a Sud della Libia. Sono venuti per difendere Tripoli, per resistere insieme al Leader. In via Omar el Muktar, che nella Tripoli coloniale si chiamava corso Vittorio Emanuele, si vedono ancora le finestre i cui interni sono anneriti dal fumo. Domenica scorsa, il Palazzo della Sicurezza Generale, la nostra polizia, è stato attaccato e incendiato dai rivoltosi. In via 11 Giugno, tracce di un’altra battaglia. Qui c’è la moschea turca e venerdì i fedeli hanno provato a manifestare e a fare barricate. Ma le milizie giunte con i blindati hanno spazzato via la resistenza. Tripoli aspetta, ormai sapendo che il futuro sarà terribile.
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