Dall’Olanda all’isola per riprendersi il marito tunisino.
Se la forza delle donne avesse una faccia e un corpo avrebbe i suoi. Una bellezza sommessa, i capelli chiari, gli occhi quieti e testardi, le lentiggini, lo smalto verde acqua sulle unghie, una fragilità assemblata con il fil di ferro. E il cuore, che batte per amore senza se e senza ma, senza vedere ostacoli, distanze, divieti. E poi quella pancia di sei mesi che è la potenza della vita, l’inizio e la fine di tutto. Questa è Winny Khamiri, 23 anni, parrucchiera olandese, arrivata qui a Lampedusa per riprendersi il suo Nizar, il marito tunisino di cinque anni più vecchio rimasto al di là del Mediterraneo pochi giorni prima che la Tunisia diventasse una gabbia senza uscite verso l’Europa, quel 5 aprile che ha segnato lo spartiacque tra la possibilità di fuga e l’obbligo di rimpatrio. Lei, che viveva lì con lui, ai primi fremiti di rivolta è volata ad Eindhoven, in Olanda,
con il suo bimbo in grembo. Lui è rimasto in Tunisia per qualche giorno, senza pensare che tra lui e sua moglie avrebbero eretto un muro. Ha chiesto un visto ad Amsterdam, lei racconta che gli è stato negato perché non ha dimostrato di guadagnare abbastanza soldi, di avere un lavoro: la trincea finanziaria che ha bloccato centinaia di tunisini al confine con la Francia. Adesso è qui a Lampedusa, chiuso nel centro di identificazione di contrada Imbriacola, già in lista per il rimpatrio, che forse avverrà oggi. È la seconda volta che sale su un barcone per riprendersi sua moglie e il suo quasi figlio: la prima volta l’hanno rispedito indietro, adesso ci ha riprovato. Come i trenta che anche ieri sono arrivati qui con gommoni, barchette in vetroresina, piccoli mezzi fai da te: il controcanto maghrebino aimega-barconi organizzati che arrivano dalla Libia.
E allora è venuta lei, con il suo album di fotografie del matrimonio davanti a un tramonto dell’isola greca di Kos, dove si sono conosciuti: entrambi a fare gli animatori in un villaggio-vacanze. «È stato un colpo di fulmine – racconta – sono innamoratissima, voglio stare con lui 24 ore al giorno». Le nozze a settembre, lei bella in abito bianco e acconciatura da cerimonia, lui elegante nel suo vestito grigio. Accanto i genitori di lei e di lui, gli amici, la torta. Lei è ancora lì, dentro quella felicità, quella forza, quella passione. Nel mondo dove tutto è possibile. Ha preso tre aerei: da Bruxelles a Milano, da Milano a Palermo e da Palermo a Lampedusa. Anche questo si impara qui a Lampedusa, un’isola che centrifuga insieme il dolore e l’energia, la morte e la fame di vita. Una sferzata all’Europa esausta e sfiduciata. «Ho portato al centro l’album fotografico per dimostrare che quel che dico è tutto vero, che Nizar è mio marito. Ho con me tanti documenti che lo documentano. Dal certificato del matrimonio all’atto di nascita, dall’assicurazione alla carte di credito», spiega con un sorriso. Ci è andata a piedi a contrada Imbriacola, sotto un sole cocente, una mano sulla pancia, un cappellino in testa, su un sentiero sterrato e lunghissimo. «Ero stanchissima,
ma felice di potere rivedere Nizar». Così incredibile, così forte, da convincere i custodi a un breve incontro tra i due, l’abbraccio che nelle settimane scorse è stato negato pure alle madri piombate qui da mezza Europa a riprendersi i figli. Lei gli ha detto: «Io resto qui finché non ti riporto indietro. Aspetterò tutto il tempo che serve». Lui le ha risposto: «Io prenderò ancora uno due, dieci o mille barconi per tornare da te». Quelli intorno si sono commossi fino alle lacrime. Loro no, sospesi sulla loro nuvola.
La Stampa14.maggio.2011.
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