ROMA – Oltre alla guerra sanguinosa tra i clan, conseguenza della polverizzazione tribale; oltre al cedimento di ogni struttura statale, all’atrofia di ogni sentimento nazionale; oltre allo sfascio dell’economia e alla fame endemica e diffusa, la Somalia deve sopportare il peso della croce di una catastrofe le cui proporzioni appaiono di giorno in giorno paralizzanti. Un “ordine” è saltato, ormai da vent’anni di guerra e uno nuovo stenta ad affermarsi. E questo non ha poco a che fare con una politica, in tutta l’area, del cosiddetto “mondo occidentale”, che nel corso del tempo si è via via travestita da aiuto umanitario, ma che in realtà ha puntato cinicamente agli affari e alle risorse, sfruttando (e alimentando) l’instabilità.
Le dimensioni della catastrofe. Nei reportage delle agenzie dell’Onu – che parla di 10 milioni di persone coinvolte nella tragedia della siccità – e dalle testimonianze dei pochi operatori di Ong che ancora riescono a lavorare, si parla apertamente di “alto tasso di mortalità” diffusa e “grave stato di malnutrizione”, soprattutto tra i bambini. Il flusso migratorio in fuga da Mogadiscio e da tutte le regioni somale, preme sulle frontiere con il Kenia, che ha già accolto oltre 600 mila persone stremate dagli stenti nei due campi allestiti. Verrebbe voglia di scattare un’istantanea del campo di Dadaab, in Kenia – ad esempio – e spedirla al ministro Maroni e sollecitarlo ad un confronto fra il grado di solidarietà dimostrato da un paese pieno di difficoltà come il Kenia, chiamato a fronteggiare un’ondata migratoria dieci volte superiore a quella che il Viminale fu costretto ad affrontare a Lampedusa, nella primavera scorsa.
Le priorità dell’Unhcr. L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati 1ha definito come linee guida per la sua azione in Somalia quella di “occuparsi di coloro che non godono del sostegno di familiari o del clan e di concentrarsi sugli sfollati interni, ma anche di prestare attenzione alle comunità che li accolgono, altrettanto bisognose di sostegno”. Al momento l’agenzia delle Nazioni Unite sta negoziando con il governo per avere garanzia che chi è rimasto in città venga trasferito in aree economicamente accessibili e con adeguati servizi e infrastrutture. L’accesso alle persone costituisce, dunque, la chiave dell’impegno umanitario in Somalia, dove il contesto in cui avvengono le operazioni continua a rimanere instabile e si teme che le alluvioni possano impedire l’accesso ad Afgooye, a 30 chilometri da Mogadiscio, dove si sono già riversate più di 43mila persone. Nella cittadina e nelle aree circostanti, l’Unhcr ha distribuito aiuti d’emergenza a circa 50mila persone.
Lo stato di carestia. Intanto, risulta sempre più difficile e diffuso l’accesso all’acqua e questo ha già fatto scattare lo “stato di carestia” secondo gli indicatori usati delle Nazioni Unite, soprattutto in due regioni del sud della Somalia. “Per la sua gravità e la sua estensione geografica – ha precisato oggi l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha 2), lanciando l’allarme per le regioni somale di Bakool e Bassa Shabelle – si tratta della crisi alimentare più grave in Africa dalla carestia in Somalia degli anni 1991-1992″. Secondo le nazioni unite, circa la metà della popolazione somala – circa 3,7 milioni di persone, di cui 2,8 milioni vivono nel Sud – si trova ormai in una situazione di crisi a causa della concomitanza di fattori come i conflitti armati, la siccità e la povertà. Nelle due regioni somale di Bakool e Bassa Shabelle sono quasi 350.000 le persone colpite dalla carestia. Le principali caratteristiche di una situazione di “carestia-catastrofe-umanitaria” sono, secondo la Fao: “un tasso di mortalità superiore a due persone al giorno su 10.000; una malnutrizione grave che riguarda oltre il 30% della popolazione; una disponibilità di cibo molto inferiore alle 2.100 calorie al/giorno per persona; meno di 4 litri di acqua al giorno e a persona o una perdita effettiva totale dei mezzi di sussistenza”. Caratteristiche che devono riguardare oltre il 20% della popolazione
L’appenno dell’Unicef. L’Unicef 3 intanto avverte che “attualmente a Bakool e Lower Shabelle la malnutrizione acuta supera il 50% con tassi di mortalità infantile superiori a 6 per 10 mila al giorno in alcune zone”, si legge in una nota. L’organizzazione umanitaria fa sapere poi che in Somalia, dall’inizio del 2011, sono già morti più di 400 bambini, una media di 90 bambini ogni mese, con un tasso di mortalità dell’86% nelle regioni centro-meridionali e oltre 100 mila bambini affetti da malnutrizione acuta. Nelle aree maggiormente colpite, appena il 20% della popolazione ha accesso all’acqua potabile, mentre i dati a disposizione indicano che un bambino su 9 muore prima di compiere 1 anno di vita, uno su 6 prima del quinto compleanno. L’intervento umanitario prevede, per il momento, 418 tra centri terapeutici ambulatoriali e centri di stabilizzazione nutrizionale per la cura della malnutrizione acuta grave; 449 programmi di supporto nutrizionale per la cura della malnutrizione acuta moderata; 72 centri per la salute e la nutrizione materno-infantile, che forniscono supporto nutrizionale ai bambini di 6-23 mesi, alle donne incinte o in allattamento.
Le “distrazioni” del “mondo ricco”. Dopo la dichiarazione delle Nazioni Unite della carestia in Somalia meridionale, appare ancora più grave l’atteggiamento della comunità internazionale di fronte alla crisi del Corno d’Africa. La denuncia di inadeguatezza della risposta dei donatori all’emergenza arriva da Oxfam 4 che chiede sia colmato “il buco nero da 800 milioni di dollari negli auti”. Secondo l’ong “il ritardo e la lentezza con cui i Paesi industrializzati si stanno muovendo sono frutto dell’indifferenza verso la gravità della crisi”. Ma è finito il tempo delle scuse. “E’ moralmente inaccettabile che diversi paesi ricchi e donatori non siano in grado di dare un contributo più generoso. Non c’è tempo da perdere se vogliamo salvare la vita di tantissime persone”, avverte Fran Equiza, responsabile della regione per Oxfam. Il nostro Paese non sfugge alle critiche del presidente dell’Associazione delle Ong italiane 5, Francesco Petrelli, il quale si augura “una risposta rapida prima che la crisi diventi una catastrofe umanitaria”. Per Petrelli “gli 800mila euro di aiuti annunciati nei giorni scorsi dal sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica sono una goccia nel mare rispetto a quanto hanno donato altri paesi e alle dimensioni dell’emergenza”.
Il dialogo con gli Shabaab. Gli Stati Uniti hanno chiesto ai miliziani somali Al Shabab di consentire alle organizzazioni umanitarie di lavorare senza intralci in Somalia. Due anni fa, gli operatori umanitari erano stati costretti a lasciare il Paese, perché accusati di essere spie o crociati. All’inizio di luglio, gli stessi Shabab hanno però chiesto l’aiuto internazionale per far fronte alla siccità. “Le azioni degli shabab hanno chiaramente contribuito a rendere la situazione più difficile – ha detto alla stampa Johnnie Carson, Segretario di Stato aggiunto per gli affari africani – la politica adottata dagli Shabaab è devastante e non aiuta i somali che vivono nel centro-sud del paese. Invitiamo tutti coloro che ne hanno l’autorità a permettere alle organizzazioni umanitarie di lavorare”. Un leader del gruppo di estremisti islamici Shabaab ha espresso soddisfazione per il riconoscimento ufficiale, da parte dell’Onu, dello stato di carestia nelle due regioni somale del Bakool e della Bassa Shabelle. Gli insorti sostengono di accettare gli aiuti per la popolazione colpita dall’emergenza.
Il reclutamento dei bambini. Amnesty international 6 denuncia oggi “crimini di guerra” commessi contro i bambini somali, vittime di un “sistematico reclutamento” da parte dei miliziani islamici Shabaab. In un rapporto in cui sono raccolte oltre 200 testimonianze, l’organizzazione di difesa dei diritti umani analizza l’impatto sui bambini di un conflitto in corso nel paese dal 1991, anno della caduta del presidente Mohamed Siad Barre. “Un bambino in Somalia rischia di morire in ogni momento: può essere ucciso, reclutato e inviato al fronte, punito dagli Shabaab perché ascolta musica o perché ha ‘cattive abitudini’ “, denuncia Michelle Kagari, direttore aggiunto per l’Africa di Amnesty. Nel rapporto, l’organizzazione accusa gli Shabaab di reclutare i bambini promettendo loro soldi e telefono cellulare, oppure armandoli con la forza dopo aver fatto irruzione nelle scuole.
Da La Repubblica del 21/07/2011.
Rispondi