Oggi il Consiglio dei ministri si riunisce per affrontare il problema dei tagli alla spesa pubblica. Vedremo che cosa ne verrà fuori. E speriamo che il risultato non siano solo annunci, ulteriori «fasi di studio», impegni futuri, «tavoli tecnici» e approfondimenti vari. Perché una cosa va detta: di «enti inutili», «spending review», sprechi della Pubblica Amministrazione, si parla da decenni, almeno dai tempi di Ugo La Malfa, e di studi settoriali sull’efficienza della macchina amministrativa pubblica se ne contano ormai a bizzeffe.
E il quadro generale è piuttosto chiaro. La spesa pubblica totale, al netto delle pensioni e degli interessi sul debito, ammonta a circa 500 miliardi di euro.
Il tasso di spreco medio è nell’ordine del 20-25%, il che significa che, se si adottassero le pratiche delle amministrazioni più efficienti (ma sarebbe più esatto dire: meno inefficienti), si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi l’anno. Una cifra con cui, giusto per fare un esempio, si potrebbe portare la pressione fiscale sui produttori a livelli irlandesi, attirare investimenti esteri e creare milioni di posti di lavoro.
Ma perché, se il quadro è chiaro, nulla o quasi nulla mai avviene, né con governi di sinistra, né con governi di destra, né con governi tecnici?
Le ragioni per cui nulla di importante mai avviene, a mio parere, sono almeno tre. La prima, ovvia, è che è politicamente più facile aumentare le tasse che ridurre la spesa. L’aumento delle tasse si traduce in decine di piccole vessazioni nessuna delle quali è abbastanza concentrata su una singola categoria da suscitare una rivolta dei contribuenti. I tagli alla spesa invece toccano categorie molto specifiche, e così creano una saldatura fra corporazioni, sindacati e ceto politico (specie locale), una sorta di patto nascosto o implicito che blocca qualsiasi decisione presa dal governo centrale.
La seconda ragione che blocca i tagli è che, colpevolmente, in questi anni il ceto politico non ha mai commissionato studi analitici. Di un comparto come la sanità, o come la giustizia, o come la burocrazia comunale, si sa con discreta precisione quanto spreca, a vari livelli: a livello nazionale, a livello regionale, spesso anche a livello provinciale. Ma non si sa dove esattamente gli sprechi si annidino, perché per saperlo occorrerebbe effettuare centinaia di studi locali e dettagliati – «studi analitici» appunto – che di norma richiedono un tempo (da 1 a 3 anni) che va al di là del miope orizzonte dei nostri partiti politici. Questo spiega perché, arrivati al dunque, i tagli sono sempre lineari e piccoli. Si dice a tutti: risparmia il 2% subito, mentre si dovrebbe dire: avete tempo 5 anni, ma tu – amministrazione abbastanza virtuosa – devi risparmiare il 4% in 5 anni, mentre tu – amministrazione cicala – devi risparmiare il 40%.
E qui veniamo alla vera, profonda e a mio parere insuperabile ragione per cui non si riesce e – temo – non si riuscirà mai a eliminare gli sprechi: le amministrazioni virtuose sono territorialmente concentrate in alcune, ben note, regioni del Centro-Nord, quelle viziose in alcune, ben note, regioni del CentroSud. Una politica di risparmi di spesa seria dovrebbe avere il coraggio di dire: caro Lombardo-Veneto, cara Emilia Romagna, avete già fatto molto per razionalizzare la spesa, quindi a voi chiediamo solo una ulteriore limatura del 5% (cifra indicativa, ma non lontana dalla realtà). Caro Piemonte, cara Liguria, cara Umbria, voi siete state meno brave, a voi dobbiamo chiedere di tagliare il 15%. E poi dovrebbe farsi forza e dire: care Sicilia, Calabria e Campania, voi buttate via i soldi, vi diamo 5 anni di tempo ma voi la spesa la dovete ridurre del 40%. Mentre voi, Puglia, Abruzzo, Sardegna, di soldi ne buttate via un po’ di meno, e quindi a voi chiediamo risparmi minori, diciamo del 25% in 5 anni.
Naturalmente le regioni e le cifre precedenti sono solo indicative. La graduatoria degli sprechi, all’ingrosso e a grandissime linee, è effettivamente quella che ho appena indicato ma non è la medesima in tutti i campi: un territorio può essere inefficiente nella sanità ma abbastanza efficiente nella giustizia; una regione sprecona può contenere isole di efficienza, così come una regione virtuosa può contenere sacche di inefficienza. E’ proprio per questo che, se non ci si vuole affidare ai tagli lineari, gli studi devono essere il più analitici possibile e un governo centrale può fissare solo gli obiettivi aggregati di medio periodo. Un governo che volesse fare sul serio dovrebbe fissare un orizzonte temporale ragionevole (3, 4, 5 anni), quantificare i risparmi possibili in ognuno dei grandi comparti della Pubblica amministrazione, e fissare precisi obiettivi territoriali per ogni comparto. Questo, se lo si volesse, si potrebbe fare anche subito, perché di studi ce ne sono già abbastanza, a partire da quelli della (colpevolmente) disciolta «Commissione Muraro» sulla spesa pubblica, che già anni fa aveva cominciato a delineare un quadro delle inefficienze. Fatto questo, toccherebbe poi alle varie amministrazioni pubbliche, centrali (ministeri) e locali (Regioni, Province, Comuni), ripartire il carico dei risparmi Asl per Asl, reparto per reparto, Comune per Comune, servizio per servizio. Un’operazione che richiederebbe una miriade di studi analitici, una serie di autorità esterne di controllo e valutazione, nonché un processo di contrattazione fra gli enti coinvolti.
Un’utopia? Sì, penso di sì. E appunto per questo, perché quel che si dovrebbe fare appare utopistico con questo ceto politico, con questa opinione pubblica, con queste forze sociali, penso che non se ne farà nulla. Di «spending review» si parlerà ancora un po’, saremo inondati di intenzioni e annunci, e alla fine la spesa verrà limata in maniera molto modesta. I risultati non saranno usati né per costruire asili nido (di cui c’è un enorme bisogno) né per ridurre le tasse a lavoratori e imprese, ma per coprire i buchi di bilancio che – puntualmente – si scopriranno all’avvicinarsi della scadenza del 2013. Il governo, quale che esso sia, si accorgerà fra qualche tempo che l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 è a rischio, e lì farà confluire i proventi di tutti i nostri sacrifici, fatti di maggiori tasse e minori servizi. So che a molti apparirò troppo pessimista, o prevenuto nei confronti di ogni governo della Repubblica presente, passato e futuro, ma questo è quello che – sulla base dell’esperienza – penso si possa realisticamente prevedere.
Da La Stampa del 30/04/2012.
Sono completamente d’accordo e da Repubblicana Mazziniana continuo a ripetere: ogni Popolo ha il governo che si merita purtroppo! Ugo La Malfa ci aveva avvisati tutti !!!
In Italia è tradizione creare dal nulla inutili baracconi parastatali dove parcheggiare potenziali elettori, i cosiddetti “amici degli amici”. Questo paesotto è pieno di enti strumentali e inutili che costano miliardi di euro l’anno. Un esempio è il consorzio anagrafe animali co.an.an. Un baraccone vuoto e senza senso creato dal ministero della salute e quello delle politiche agricole e dove i consiglieri di amministrazione sono in numero maggiore rispetto ai lavoratori dipendenti (assunti OVVIAMENTE senza concorso pubblico) al modico costo di un milione di euro all’anno!!! Oggi basta realizzare un sito web per far vedere che si è forti e potenti….. Ma di enti inutili e inefficienti come questo con CDA fotocopiati dentro una miriade di intrecci societari politico-dipendenti l’italia è piena! E i cittadini ignari vengono letteralmente tarTASSATI fino al collasso.
Itagliani svegliaaaaaaa!!!
Un dirigente e 3 impiegati del COANAN (ente privato) costavano allo Stato un milione di euro l’anno. Adesso, grazie all’intervento dell’amico dell’amico di turno, quel dirigente e i 3 impiegati avranno un posto ministeriale senza concorso pubblico. Questa è l’Italia!
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Atto Camera
Ordine del Giorno 9/05440-AR/014presentato daMANCUSO Giannitesto diGiovedì 18 ottobre 2012, seduta n. 706
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, all’articolo 14, comma 1, prevede la soppressione del CoAnAn S.c.ar.l, il Consorzio Anagrafi Animali, che verrà posto in liquidazione;
le funzioni del Consorzio verranno trasferite al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e al Ministero della salute;
la soppressione del Consorzio si incardina in una logica di spending review e di razionale organizzazione della pubblica amministrazione;
in data 2 ottobre 2012 si è riunito il Consiglio di amministrazione del CoAnAn S.c.ar.l per dare applicazione a quanto previsto nel decreto-legge in esame e predisporre la relazione societaria finale consuntiva da inviare agli organi interessati;
il citato comma 1 dell’articolo 14, contrariamente alle norme che in precedenza hanno previsto la soppressione di analoghi organismi, non dispone il trasferimento del personale al soggetto subentrante insieme alle funzioni e alle risorse di competenza;
i dipendenti in questione sono presenti nel limitato numero di 4 unità, di cui uno con la qualifica di dirigente e 3 impiegati;
il CdA ha ritenuto opportuno informare gli organi interessati affinché il suddetto personale, che ha acquisito negli anni notevole professionalità, in sede di conversione del citato decreto-legge, venga riassorbito nei ruoli dei Ministeri di competenza (MIPAAF, MINSA) o nell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) o in alternativa, presso i ruoli dei soci della compagine societaria, così come già avvenuto per altri Enti dello Stato soppressi o accorpati,
impegna il Governo
a prendere tempestive iniziative al fine di chiarire la sorte professionale del suddetto personale.
9/5440-AR/14. (Testo modificato nel corso della seduta). Mancuso, Girlanda.
[…] per dare due numeri cito un articolo di Luca Ricolfi(https://triskel182.wordpress.com/2012/04/30/lutopia-della-lotta-agli-sprechi-luca-ricolfi/). La spese della PA, al netto di stipendi e interessi sul debito, ammonta circa a 500 miliardi di […]
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