Il calcio catalizza una delle risorse più scarse che ci siano al mondo, vale a dire l’attenzione umana. Nell’era di Internet siamo continuamente bombardati da ogni sorta di messaggi, avendo accesso a innumerevoli fonti d’informazione. In questa selva di stimoli, il calcio riesce ad attirare su di sé l’attenzione di molti individui. La finale di Coppa del Mondo del 2010 è stata seguita, in 200 paesi, da circa 700 milioni di persone. Il 72 per cento degli italiani si dichiara interessato o molto interessato al calcio, 32 milioni di nostri concittadini seguono la nazionale, 28 milioni la serie A, 26 milioni la Champions League. In termini di audience televisiva, le trasmissioni calcistiche hanno pochi rivali, con effetti importanti sulle tariffe dei break pubblicitari. In Italia abbiamo anche un numero altissimo di squadre, quasi 70 mila; e si giocano ogni anno la bellezza di 600 mila partite regolamentari, di cui 100 mila nella sola Lombardia. In questo senso, il calcio italiano è uno sport vivo, non è solo spettacolo: oltre a catturare molti spettatori, genera molti praticanti. Nella storia del calcio italico ci sono molti episodi di corruzione. Nel 1927 fu revocato il titolo vinto dal Torino perché i suoi dirigenti avevano corrotto un giocatore della Juventus prima di un derby. Nel 1982 Milan e Roma furono retrocesse in B per aver aggiustato una partita e alcuni giocatori furono giudicati colpevoli di scommesse illegali sulle partite. Nel 2004-2005 abbiamo avuto Calciopoli e adesso abbiamo assistito al ritorno del calcioscommesse. Questo scandalo è più esteso di quello dell’82 e presenta qualche analogia con episodi avvenuti in altri paesi, per esempio, con lo scandalo emerso in Germania nel 2009. Da noi l’intreccio fra illecito sportivo e criminalità è stato più forte, dato il coinvolgimento della camorra nel racket delle scommesse. In Calciopoli erano coinvolti gli arbitri, mentre nel calcio scommesse ad agire sono stati i calciatori. Sono in genere le squadre in crisi a essere coinvolte, quelle fortemente indebitate. Queste squadre hanno spesso giocatori che non percepiscono lo stipendio per diversi mesi. Gli stessi giocatori sono ricattabili perché il direttore sportivo può far arrivare il seguente messaggio: se non fate come vi dico, non possiamo pagarvi lo stipendio. In Italia la situazione economica delle squadre di calcio è peggiorata. I dati di un recente rapporto di Price Waterhouse ci dicono che il debito delle quadre di A, B e Lega Pro è aumentato di più del 20 per cento dal 2007 al 2010, passando da 2,2 a 2,7 miliardi. La cosa da notare è che questi debiti finanziari, di solito con le banche, non vengono contratti a fronte di investimenti immobiliari (come la costruzione o l’acquisizione di stadi o strutture sportive) che permetterebbero di creare situazioni sostenibili o di portare futuri ricavi. No: si tratta di finanziamenti della spesa corrente. In questi casi c’è una forte tendenza alla collusione fra direttore sportivo e dirigenza per trovare dei modi per fare cassa e pagare stipendi e bollette. Per dare un’idea dell’entità delle potenziali entrate: il business delle scommesse è di circa 4 miliardi di euro solo in Italia. E le quote delle scommesse sono indipendenti dall’importanza della partita, dal numero di spettatori e dal numero di scommettitori. Ciò vuol dire che si possono scegliere partite minori, in serie minori, partite che pochi vedono e sfuggono perciò al controllo del pubblico. Scommettendo su queste partite si possono realizzare guadagni importanti. Il nuovo calcioscommesse ha fatto venire al pettine i nodi del nostro calcio. Quel che serve non sono minimi ritocchi, ma riforme e interventi che riducano drasticamente il numero di squadre obbligando quelle che non sono in grado di presentare un bilancio serio a chiudere i battenti. Forse ci vorrebbe un governo tecnico anche nel calcio per fare queste cose. Servirebbe anche istituire un premio di reputazione per chi denuncia comportamenti devianti. Sarebbe compito dei media dare notorietà a chi si dissocia, e fare in modo che i giocatori corretti abbiano più spazio e siano messi in buona luce. L’esempio lo ha dato il c.t. della nazionale, Cesare Prandelli, convocando Simone Farina, il giocatore del Gubbio che aveva denunciato un tentativo di combine nella Tim Cup. Ma finché non si trova il modo di sciogliere l’intreccio fra potere mediatico e potere sportivo, è difficile che i media possano esercitare quella funzione di «watchdog» di cui c’è urgente bisogno. Una cosa è certa: la correttezza va valorizzata, bisogna ripristinare le sanzioni sociali per i comportamenti disonesti. I giovani sognano e si identificano nei campioni, e questo dà al mondo del calcio una grande responsabilità, perché la sanzione sociale contro chi viola le regole si plasma anche sulla fermezza con cui si risponde agli illeciti sportivi.
Da La Repubblica del 30/05/2012.
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