CONTRO GIORNALISTI, TRASPARENZA, GOVERNO ED ELETTORI, TEMENDO IL VOTO CHE SI AVVICINA.
Che cos’è “l’onore della politica”, rigorosamente tra virgolette? È la giustificazione, anzi il movente ipocrita che ispira la Casta che resiste in questo scorcio tragico della Seconda Repubblica. Una resistenza fatta di rigurgiti autistici rispetto alla rabbia e al dolore del Paese: la legge contro i giornalisti; il ddl anti-corruzione che salva imputati e condannati eccellenti; la bocciatura del decreto che taglia i costi della politica nelle regioni e negli enti locali (le cosiddette norme anti-Fiorito); l’assalto alla diligenza della legge di Stabilità e il no al contributo di solidarietà dei ricchi (il 3 per cento ai redditi oltre i 150 mila euro) per il fondo esodati; infine, la melina sulla riforma elettorale per mantenere l’orrendo Porcellum dei nominati. È il catalogo della Casta di questa settimana che finisce. “L’ONORE DELLA POLITICA”, giovedì 25 ottobre a Palazzo Madama, è stata incarnata dalla faccia cupa di Rosi Mauro, cacciata dalla Lega per lo scandalo Belsito. Era lei, infatti, a presiedere la seduta numero 821 del Senato in questa legislatura. Quella in cui è esplosa la furiosa vendetta della politica ai danni dei giornalisti. Galeotta la condanna al direttore del Giornale berlusconiano Alessandro Sallusti, deputati e senatori stanno partorendo una legge che punisce la stampa con il ricatto di multe e sanzioni altissime. Lo spudorato scudo dell’ “onore della politica” è stato impugnato dalla strana maggioranza dell’inciucio montiano, da Francesco Rutelli all’ex guardasigilli Nitto Palma, previtiano e berlusconiano. Ha proclamato Francesco Rutelli, ex candidato- premier del centrosinistra nel 2001: “La finalità di dimezzare l’importo massimo delle sanzioni pecuniarie in caso di accertamento della diffamazione è inaccettabile e dimostra la debolezza della classe politica”. Aggiunge Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera: “Sappiamo benissimo che a partire dal lancio del termine ‘casta’, la cosiddetta classe politica è stata scientificamente massacrata; quando poi al massacro essa stessa ha contribuito o con gravissimi errori o con un forte tasso di criminalità, vedi casi Belsito, Lusi, Fiorito e altri, il rischio del suicidio in diretta televisiva è diventato elevatissimo”. C’è il filo comune della resistenza che unisce questa vendetta alla bocciatura, sempre trasversale, del decreto anti- Fiorito nella Commissione bicamerale per le questioni regionali. Addirittura per Paolo Tancredi del Pdl il decreto legge sancisce di fatto “l’arresto del percorso regionalista e federalista in Italia”, mentre per Lu-ciano Pizzetti del Pd asseconda “le istanze di un’opinione pubblica esacerbata e indignata”. ECCO, QUESTO è il clima nel bunker parlamentare della Casta. Mantenere i privilegi, punire i giornalisti ma non i politici corrotti, fare il tifo per il Porcellum. Giovedì sono state due le immagini di questa finzione dell’onore della politica. Una, già raccontata, del Senato trasfigurato in un’arena contro la libertà di stampa. L’altra, ancora più desolante, della Camera. Il deserto, il vuoto cosmico. Pochi presenti, già a metà settimana, perché tutti concentrati e impegnati per le elezioni regionali di domenica prossima in Sicilia. Antonio Borghesi è il vicecapogruppo dell’Italia dei valori a Montecitorio. Prende lo spunto dai mancati tagli ai solidi della politica nelle Regioni e dice: “La Casta protegge se stessa fino all’ultimo, incurante di tutto quello che sta succedendo, incurante dei sacrifici imposti ai cittadini dalla legge di stabilità, incurante delle inchieste in corso, con decine di consiglieri regionali indagati”. E mostra, la Casta, persino una faccia tosta, pronta a sbeffeggiare tutto e tutti. Come nel caso di Vasco Errani del Pd, presidente della Regione Emilia-Romagna tirato in ballo in un paio di situazioni imbarazzanti per lui e per Bersani. Ebbene, martedì prossimo, Errani presenterà alla Camera un libro sulla “casta invisibile” delle regioni. Nel ventennio berlusconiano, i circoli degli ultras garantisti, tifosi dell’impunità assoluta e quasi tutti craxiani, hanno sostenuto il teorema che il “golpe giudiziario di Tangentopoli” impedì alla politica di “autori – formarsi” nel biennio ‘93-‘94. Dopo due decenni, il teorema mostra tutta la sua fallacia: la politica fa di tutto per non autoriformarsi e si muove lungo una traiettoria di autoconservazione. L’EX MINISTRO Gianfranco Rotondi, deputato dc che ama Berlusconi, ammette senza problemi: “Io amo andare controcorrente e tutta la polemica della casta che costa non mi convince. Ha ragione il Parlamento nello smontare il decreto del governo sulle Regioni”. Poi però diventa realista: “Di – ciamolo pure, questa resistenza è inutile, qui dentro arriveranno i barbari e cambieranno tutto. Per una vera autoriforma della politica, il presidente della Repubblica avrebbe dovuto inviare un solenne messaggio al parlamento e far ridurre regioni, province, numero dei parlamentari”. Il messaggio non c’è stato e il Parlamento è diventato un bunker cieco e sordo. Domani è il novantesimo anniversario della marcia su Roma e Rotondi fa un’analogia inquietante: “Non dimentichiamo che anche allora il Parlamento fu sordo. Mentre i fascisti marciavano al Senato si discuteva inutilmente sulla riforma della scuola media superiore”.
Da Il Fatto Quotidiano del 27/10/2012.
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