IL MINISTRO È CON GLI AGENTI, MA LA RETE È INONDATA DI PESTAGGI.
Dopo quella con gli scudi e i manganelli, quella che si sta giocando è una guerra di immagini. Da una parte i manifestanti, i ragazzi colorati e pacifici che – a poche ore dalle manifestazioni di mercoledì – hanno inondato la rete di filmati e testimonianze. Dall’altra i poliziotti, che – con molta più lentezza – stanno diffondendo i loro video e le loro foto, che mostrano braccia tese a lanciare sampietrini. Otto saranno coloro per i quali, nel carcere di Regina Coeli, stamattina si svolgerà l’udienza di convalida dei fermi. Per tutti il pm Luca Tescaroli chiederà gli arresti domiciliari. “Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un’azione politica. Resistenza è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non succeda più”. La frase di Ulrike Marie Meinhof, fondatrice del gruppo terroristico Banda Baader- Meinhof, compare nel profilo Facebook di Christopher Chiesa, il ventunenne universitario romano di buona famiglia finito in carcere. Tra i fermati ci sono anche Ricky Masoch, nato a Feltre e studente in Filosofia, già coinvolto in iniziative contro il Tav e Massimo D’Angelo, operaio di 39 anni residente nell’Aretino, padre di tre figli e con precedenti per danneggiamento e diserzione. A essere ascoltati saranno anche Mattia Tomassi, studente romano 23 anni, Stefano Minore, arrivato da Schio, Adriano Pasqua, Lorenzo Bartoli e Natasha Grdich. Ieri il ministro Cancellieri è tornato a difendere l’operato delle forze dell’ordine, che contano dodici feriti tra le loro file, e ribadito la necessità di fermare i violenti per evitare che una situazione già calda diventasse insostenibile. MA QUESTO non basta a placare le polemiche e nell’opinione pubblica rimane l’immagine di una polizia violenta che non esita ad abusare del manganello. Lo “sfollagente” servirebbe a vincere una resistenza attiva o neutralizzare una violenza contro l’operatore. Questo insegnano alla scuola per l’ordine pubblico istituita a Nettuno, vicino Roma. Si tratta di un’arma in uso al reparto mobile, a quelli che un tempo erano i Celerini, e “deve essere utilizzato nello stretto ambito della normativa vigente”, spiega un funzionario docente della scuola di Nettuno. Per questo il poliziotto (in borghese) che mercoledì a Roma ha usato il manganello contro il volto di un ragazzo già immobilizzato e a terra andrà incontro, promettono dal Viminale, a un procedimento disciplinare. Mentre si sta ancora esaminando la veridicità delle immagini che ritraggono un agente manganellare di spalle, alla nuca, un ragazzo inerme. Certo è che l’uso della forza nelle manifestazioni pubbliche dovrebbe seguire, appunto, una normativa. L’articolo 20 del Testo unico delle Leggi di pubblica sicurezza (redatto durante il fascismo, ma tuttora in vigore) prevede che un “assembramento” possa essere sciolto qualora si sentano “grida sediziose” o quando vi sia pericolo per l’incolumità della popolazione. Prima dell’uso della forza, però, chi dirige l’ordine pubblico ha il dovere di dare “tre distinte formali intimazioni”. “Ma quando i manifestanti tentano di violare un blocco, come è accaduto l’altro giorno – racconta ancora il funzionario – non c’è il tempo di intimare nulla, bisogna intervenire. E dovendo contrastare una massa di gente, non si riesce a distinguere tra i buoni e i cattivi”. A Nettuno insegnano anche, però, a usare lo sfollagente in modo che possa arrecare il minor danno alla persona colpita: non si dovrebbe cioè mirare alla testa, se non nel caso in cui – come accaduto a Torino – sia in gioco la vita dell’operatore. Quello che sembra ancora molto lontano da venire è l’addestramento psicologico degli uomini schierati in prima linea, spesso non più giovanissimi e a caccia di qualche ora di straordinario in più, e soprattutto la prevenzione. Digos e Squadre mobili conoscono uno a uno i “cattivi maestri”, i loro precedenti, e monitorano i loro spostamenti. E allora perchè questi violenti che rovinano le manifestazioni pacifiche non si riescono a fermare e, anzi – come accaduto l’altro giorno a Roma, dove si aggiravano addirittura i greci – si lasciano entrare anche i cosiddetti “infiltra – ti”? “Perchè qualsiasi azione preventiva sarebbe incostituzionale”, spiega il funzionario. Non siamo più, e per fortuna, in un regime. E però ci sono due soluzioni che potrebbero raffreddare gli animi, da ambo le parti. La prima è quella di difendere le “zone rosse” non con la Celere, ma con barriere di gomma in uso in molte parti d’Europa. Questo eviterebbe il contatto. La seconda è l’introduzione dei caschi numerati tra gli agenti, in modo da poter identificare subito chi commette un abuso. Se ne parla da anni, ma non lo si fa mai. E questo lascia il manganello impunito e libero di colpire.
Da Il Fatto Quotidiano del 16/11/2012.
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