IL GOVERNO NON C’È, I SOLDI SÌ LA NUOVA TORTA DEI RIMBORSI, PRONTI 159 MILIONI PER I PARTITI. ANCHE CON LEGISLATURA BREVE, SPESE COPERTE. I GRILLINI RIFIUTERANNO I FONDI: MA COME?
Al servizio Tesoreria di Montecitorio sono già al lavoro. Calcolatrici e percentuali: i voti presi dai partiti, adesso, si trasformano in soldi. Così, ecco i 453 seggi conquista-ti dal Pd tra Camera e Senato materializzarsi in 45 milioni di euro. E le 240 poltrone dei deputati e senatori Pdl tintinnare come 38 milioni di monetine. E ancora le 63 caselle occupate dalla lista Monti: 15 milioni di euro. Infine loro, i 163 grillini che hanno già annunciato il gran rifiuto: valgono 42 milioni di euro. Un totale di 159 milioni di euro, compresi i “piccoli” eletti, mentre Fini, Ingroia e Giannino restano a bocca asciutta. Il piano è quinquennale, orizzonte lunghissimo per questa legislatura che non ha vincitori. Eppure, anche se durasse pochissimo, renderebbe grazia ai soldi spesi in campagna elettorale. Sarà un caso, ma mai come questa volta, i partiti si sono tenuti bassi con le spese.
SAPEVANO che la torta sarebbe stata dimezzata, come deciso dalla legge sui rimborsi approvata nel luglio scorso. Prendiamo il Pd, che per la sua campagna ha messo a budget 6 milioni e mezzo di euro. Il governo può anche non nascere, ma nessuno ci rimette: con la sola elezione, rientrano 9 milioni di euro. Sui conti degli altri, brancoliamo nel buio: la Scelta Civica di Monti non ha ancora pubblicato un resoconto delle spese sostenute, nonostante prima delle elezioni giurassero: “Il 26 avrete tutto”. Ora spiegano che hanno bisogno di tempo: “Stiamo aspettando le ricevute dai territori, ci vuole qualche ora più del previsto”. Idem Grillo: 550 mila euro raccolti durante lo Tsunami tour, ma la scheda sulle spese sostenute è ancora vuota. Aspettiamo. Anche il Pdl che, per la verità, promesse di trasparenza non ne ha mai fatte.
Prima o poi, però, arriverà per forza. Entro il 27 marzo, trenta giorni dopo le elezioni, i partiti entrati in Parlamento dovranno depositare la richiesta di rimborso. Poi, entro l’11 aprile saranno costretti a depositare alla presidenza di Camera e Senato il rendiconto delle spese sostenute in campagna elettorale. Per tre mesi – dice una legge del ‘93 – i rendiconti saranno a disposizione dei cittadini che volessero prenderne visione.
MA TORNIAMO alla richiesta da presentare tra un mese: saranno i tesorieri dei partiti o i rappresentanti legali dei movimenti a doverla presentare. Nel caso dei Cinque Stelle, dunque, Beppe Grillo in persona, in qualità di titolare esclusivo del simbolo. Non è ancora chiaro come si comporterà: se non presenta richiesta, la quota annuale dovrebbe rimanere ferma in Tesoreria. Sostiene però Giovanni Favia, ex grillino, poi espulso e traghettato in Rivoluzione Civile che in Emilia Romagna non andò così: “Qualche settimana fa – sostiene il consigliere regionale – ho scoperto che il nostro gesto andava esattamente in direzione opposta a quelli che erano i nostri obiettivi: rinunciammo ad un milione di euro che poi venne diviso tra i partiti della Casta”. Il rischio si potrebbe evitare accettando i contributi e poi restituendoli, magari costituendo un fondo per le imprese come stanno facendo i Cinque Stelle in Sicilia. Ma ci sono altri due ostacoli: il primo è quello dello Statuto, requisito fondamentale per l’accesso ai rimborsi e inesistente nel movimento con il Non-Statuto per antonomasia. Il secondo riguarda Grillo in persona: se si “immischia” nella faccenda dei rimborsi in qualità di “tesoriere”, seppur non eletto ricade nell’obbligo di rendere pubblici i suoi redditi e patrimoni. Gli avversari che già hanno aperto la guerra tra figli di benzinai e miliardari, lo aspettano al varco.
Nel frattempo, tre giorni fa, si è consumata “l’ultima cena”. I grillini romani hanno pubblicato lo scontrino dei festeggiamenti post-elettorali: focaccia al prosciutto, zucchine fritte, panini fritti ripieni, due assaggi di primi, acqua, birra, vino. Erano quasi 3 mila euro, sono riusciti a farseli scontare a 1800. Ma giurano che “alcuni giornalisti avrebbero consumato senza pagare: forse sono troppo abituati alle cene dei partiti pagate con i soldi dei rimborsi pubblici. Beh, con noi non funziona così”.
Da Il Fatto Quotidiano del 28/02/2013.
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