IL CONGRESSO SAREBBE A OTTOBRE. “MA TUTTO DEVE CAMBIARE ORA”, ATTACCA ORFINI.
I grillini i voti li hanno tolti in larga maggioranza al Partito Democratico. A dirlo è lo studio sui flussi in 9 grandi città fatto dall’Istituto Cattaneo. A Tori-no (37 su 100 passano dai Democratici a Grillo), a Brescia (32 su 100), a Padova (16 su 100), a Bologna (48 su 100), a Firenze (58 su 100), ad Ancona (47 su 100), a Napoli (44 su 100) è andata così. Meglio a Reggio Calabria e a Catania. Se serviva un altro dato per descrivere la “non vittoria” del partito che assomiglia tanto a una débacle, eccolo qua. In un’altra epoca, e forse in presenza di un’analisi e di una visione di prospettiva meno alla giornata, forse le dimissioni sarebbero già arrivate. In un partito a cui sfuggono sia la reale comprensione del fallimento, che la direzione verso cui andare queste oggi sono impensabili. Non lo saranno domani. E mentre Bersani sta arroccato nel suo fortino, nel tentativo di salvare il salvabile (e se stesso) la corsa al siluramento è già cominciata. Prima delle elezioni, Bersani l’aveva detto che avrebbe lasciato la segreteria. Pensava di essere impegnato a Palazzo Chigi. Adesso dovrà farlo comunque. Tutto rimandato a quando si capirà se l’operazione governo a 5 Stelle va in porto o no, ma siccome il boicottarlo è tra gli interessi di bottega le cose sono strettamente collegate. Nella riunione del “caminetto ” (un nome che è tutto un programma: non è la segreteria, non è la direzione, non è l’assemblea. È un incontro senza potere decisionale di giovani dirigenti e vecchi big) di martedì sera i grandi vecchi sono stati tutti zitti, tutti acquattati. Nessuna esplicita sconfessione a Bersani, nessun sostegno. Meglio lasciarlo sbattere da solo e remare contro nell’ombra. Vedremo se ci sarà uno scontro più vero nella direzione convocata per il 5. “Vogliono fare il governissimo Pd- Pdl, ma non glielo faremo fare”, commenta veementemente Matteo Orfini, giovane turco, della sinistra del partito. E in effetti, mentre in teoria si ragiona per il futuro del paese, molti pensano al loro futuro. “Basta così, è arrivato il momento che si facciano da parte”, dice ancora Orfini. Quel gruppo dirigente, quei rottamati solo a chiacchiere, D’Alema, Veltroni, la Bindi, Fioroni e Gentiloni il governo con Grillo non lo vogliono. Le alternative sono le più varie: da un governo del presidente al governissimo. Il tutto con loro in posti di rilievo e Bersani fuori. Per ora la parola dimissioni l’hanno pronunciata esplicitamente Civati (che poi s’è smentito) e la Vincenzi. Ma è solo questione di giorni. Il congresso è programmato a ottobre, con tanto di primarie. Possibile aspettare fino a quel momento? Serve una “figura di garanzia” per gestire la transizione tira fuori Sandro Gozi. I giovani turchi hanno la loro proposta: una specie di gestione collegiale, con uno di loro che tira le fila (magari Andrea Orlando) e che faccia piazza pulita di una serie di riti classici dei democratici, a partire appunto da caminetti e dai “tortellini magici”. “Basta, una fase così delicata, mica la possono gestire Migliavacca e Errani”. Ancora Orfini. Ma soprattutto c’è Renzi. Ora i Democratici sono sul “tutti con Renzi”. Lui ha fatto sapere che la linea Grillo non lo convince, non ha messo la faccia sulla sconfitta, ma non ha sconfessato Bersani. Vuole fare il segretario del Pd? Non dice né sì, nè no. Adesso nessuno sarebbe pronto a dichiarargli guerra preventiva. “Se vince Renzi muore ilo Pd”, disse il Lìder Maximo”. Ma quello che vuole fare davvero lui è il premier. Aspetta solo di capire quando ci saranno le condizioni. E poi c’è Fabrizio Barca, che molti vedrebbero come il Papa (un po’) straniero, che potrebbe salvare capra e cavoli. Non ha la tessera del Pd, ma non è una figura di rottura. Sempre che non si blindi un dirigente d’apparato. Enrico Letta sarebbe pronto. Ma è il vice-segretario. Il vice non vittoria.
Da Il Fatto Quotidiano del 28/02/2013.
Rispondi