DOVESSE PASSARE IL COMPLESSO DISEGNO COSTITUZIONALE STUDIATO DAI “SAGGI”, SARANNO POI LE SINGOLE REGIONI A DOVER SCEGLIERE SE CONSERVARE GLI ENTI INTERMEDI.
La circostanza più incredibile è stata, nel-l’aprile scorso, l’elezione del nuovo consiglio provinciale di Udine. Ma come? In attesa della loro definitiva abolizione, il decreto “Salva Italia” non aveva previsto che non si votasse più per eleggere i presidenti di Provincia? Il Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, ha ritenuto di non tener conto della legge nazionale del governo Monti che fino ad allora aveva commissariato Province come: Ancona, Belluno, Cagliari, Caltanissetta, Como, Genova, La Spezia, Ragusa, Vicenza e Ancona nel 2012. E poi Roma, Agrigento, Asti, Benevento, Catania, Catanzaro, Enna, Foggia, Massa-Carrara, Messina, Palermo, Trapani, Varese e Vi-bo Valentia nel 2013.
Adesso viviamo una situazione di paradosso: ci sono enti provinciali eletti prima dell’entrata in vigore della legge che continuano fino a scadenza, enti provinciali retti da prefetti e commissari, enti provinciali, segnatamente quello di Udine, che hanno anche rinnovato le proprie cariche elettive.
SU TUTTO CIÒ pesa ancora presso la Consulta il ricorso presentato nell’ottobre del 2012 da 8 Regioni che contestavano l’idea di poter normare materie complesse di natura costituzionale (le Province sono espressamente citate al Titolo V, articolo 114) attraverso una decretazione d’urgenza. La corte costituzionale dovrebbe pronunciarsi il 2 luglio – la partita riguarda nello specifico l’elezione diretta di consigli e giunte che sono state “congelate” in attesa degli eventi.
Da luglio in poi, dunque, il governo Letta dovrebbe contribuire a mettere mano a una complessa riforma costituzionale già elencata dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Graziano Delrio nelle sue scadenze ma non nei suoi contenuti. Le linee guida del governo enunciate dal ministro in un’intervista al Corriere della Sera del 26 maggio scorso chiarivano due questioni. La prima: nessuno dei 53mila dipendenti provinciali sarebbe stato mandato a casa. La seconda: il governo mostrava una fretta che nei fatti non riesce a mantenere. Delrio aveva infatti predetto che “prima dell’estate” si sarebbe dovuta mettere in moto la macchina, non con uno ma con ben due provvedimenti: il primo di natura costituzionale per stralciare le Province dalla Carta. L’altro di natura amministrativa per redistribuire funzioni e ambiti territoriali delle nuove realtà che andrebbero a sostituire le Province. Al 29 di giugno, con l’estate in casa, la partita è in mano alla commissione dei Saggi il cui orientamento (le riunioni riprenderanno lunedì e continueranno nelle settimane a venire), è quello di far approvare un provvedimento costituzionale per delegare poi le singole Regioni. Ai singoli governatori sarà chiesto: avete bisogno di quegli enti intermedi o no? E a seconda della modulazione di quella risposta avremo più o meno “Province”. Niente abolizione tout court, dunque, ma un processo lungo e anche incerto, poichè legato alle riforme costituzionali appese all’esistenza stessa del governo Letta per un periodo congruo.
PER CAPIRCI è il modello che oggi stanno seguendo le Regioni a statuto speciale come la Sicilia, la Sardegna e il Friuli. Non tutte (si veda per l’appunto l’elezione di Udine) potrebbero decidere per la cancellazione degli enti. Così, dopo le promesse pre e post elettorali contro gli “stipendifici” delle Province, ancora una volta i partiti vengono meno a quanto dichiarato.
Con la cancellazione delle Province, al netto della conservazione del personale che andrebbe redistribuito nella macchina pubblica, e delle funzioni che qualcuno dovrà pur sostenere (scuole superiori, strade provinciali, formazione, ambiente e trasporti per citare le maggiori), si stima un risparmio di due miliardi sui 12 che oggi costano. Per adesso, con il “congelamento” di una ventina di elezioni provinciali, si è riusciti a risparmiare un quinto dei 110 milioni di euro che pesano annualmente giunte e consigli provinciali. Con il timore che la Consulta, martedì, possa decidere di far tornare a eleggere anche presidenti e consiglieri.
Da Il Fatto Quotidiano del 30/06/2013.
La faccenda è molto semplice e lo dico da dipendente provinciale. Se si decide di chiudere le Province si fa un cronoprogramma di circa due anni e si fanno tutti ( ma dico tutti ) i passi necessari per farlo; fra due anni le Province non esisteranno più. Se si fanno proclami e (sopratutto) li fanno persone che non sanno di cosa si sta parlando, fra dieci anni saremo sempre qui. Insisto; quelli che saprebbero come fare a chiudere e razionalizzare l’ente mantenendo le cose necessarie e passandole razionalmente, siamo noi che ci lavoriamo da anni. Se invece le cose si fanno fare ai soliti che hanno vissuto nelle torri d’avorio e superpagati, verrà fuori il solito pateracchio dal quale non se ne verrà mai fuori. Ma forse sto volando troppo alto … Io ci lavoro da 20 anni e dico che sarebbe finalmente l’occasione di valutare chi ha svolto un compito decorosamente e chi ha fatto il portaborse. Ma so già che andrà come al solito; i soliti noti rimarranno con le borse in mano e qualche disgraziato resterà nella tagliola. I servizi continueranno a fare schifo e i politici canteranno vittoria dopo aver combinato il solito casino.
Dopo la pronuncia della Consulta del prossimo 2 luglio sarà il Premier a dare l’indirizzo finale sull’abolizione dell’ente intermedio, come più volte ha dichiarato.