Se c’è una cosa che i razzisti non ammettono mai, è di essere razzisti. Riesce solo all’avvocato Dershowitz, l’ex docente di Harvard diventato, dopo il processo di O. J. Simpson, il penalista più famoso degli Stati Uniti, affermare: “Il processo è razzista, la sentenza è certamente giusta”. Intende dire che assolvere e mandare libera la guardia privata Zimmerman che vede un giovane nero, è conforme alla legge.
I giurati saranno state tutte donne (dunque particolarmente in guardia contro il pericolo) e tutte bianche (il pericolo è nero) ma la legge è legge. Quale legge
SIAMO in Florida, e dunque stiamo parlando di una cinica trovata elettorale di Jebb Bush, della vecchia famiglia, quando era governatore della Florida La legge si chiama “Presidia il tuo territorio” e autorizza a sparare anche solo in caso di “percezione del pericolo”. Questo la guardia giurata Zimmerman ha fatto: ha percepito il pericolo del ragazzino (17 anni e niente affatto atletico, come vediamo dalle immagini) perché nero e con cappuccio della felpa alzato, e ha sparato vari colpi al suo bersaglio facile, uccidendolo. Ora che Zimmerman è stato assolto per avere applicato la legge, e dimostrato che a Sanford, Florida, devi stare attento a non attraversare il quartiere sbagliato, la sua carriera professionale non può che trarre un immenso beneficio dal cadavere del giovane Trayvon Martin. Che importa se ladri e rapinatori il più delle volte (è statistica) sono biondi? Secondo la legge di Jebb Bush conta la percezione. La percezione è nera. E’ bella la frase di Obama che ha detto: “Avrebbe potuto essere mio figlio”.
MA OBAMA stesso è conscio di essere nero. Lo ha sempre saputo senza mai illudersi che la presidenza avrebbe scolorito ” la percezione”. Fatti come la accusa di essere islamico e perciò anti-cristiano, e di avere utilizzato un certificato di nascita falso per provare di essere americano, possono accadere solo a un presidente, per quanto grande, “percepito come nero”.
Il razzismo pesa sull’America, e in certi luoghi e situazioni (come nel tribunale di Sanford) c’è chi si comporta come se Martin Luther King non fosse mai passato di qui. E c’è chi mette “il pericolo nero” a carico della sinistra e quindi come parte del dovere conservatore di tenere testa in tutto a quel pericolo, dal ragazzo nero che pretende di passare nel luogo sbagliato, al presidente degli Stati Uniti che vuole togliere le armi, le scuole e le cure mediche dalle mani del controllo privato. Ma Martin Luther King è passato da queste strade d’America e il suo assassinio lo ha consegnato alla storia americana come un vigilante ben più grande della guardia giurata Zimmerman. Alcuni anni fa, un generale a cinque stelle, capo di Stato maggiore delle forze armate americane, si era permesso di dire che “ci sono pochi ufficiali neri perché noi promuoviamo secondo il merito”. Ha dovuto dimettersi prima di sera. Una delle colpe non perdonate a Nixon è stata l’uso frequente della parola “nigger” (un insulto simile a quello di Calderoli) nelle conversazioni registrate dal presidente a insaputa dei suoi interlocutori e requisite dalla magistratura.
Non tanti anni fa una studentessa di Harvard è stata obbligata a lasciare il campus per sempre dopo avere esposto alla finestra della sua stanza la bandiera confederale degli schiavisti, provocando una sollevazione di migliaia di studenti. Eppure il razzismo resta cupo, solido, non sempre in vista, più spesso pronto a negare, ma resta, come certe malattie che si curano ma non si sradicano. Non è chiaro, nella sociologia americana, il rapporto fra razzismo e scelta politica. Di certo la straordinaria figura di Obama ha fortificato e incoraggiato i liberal, e persino gli inclini a non sapere. Ma ha messo i veri razzisti in stato di perenne allarme. Forse perchè i neri restano i più poveri del Paese, dunque i primi beneficiari delle battaglie di Obama, come quella per le cure mediche garantite a tutti. E i primi a beneficiare di una grande rilancio della scuola pubblica, come quello che sta a cuore non solo al presidente ma anche alla attivissima First Lady di questo periodo americano fortunato e difficile, guidato con fermezza ma attaccato con furore molto oltre i limiti tradizionali delle opposizioni.
E ADESSO, dopo il processo Trayvon Martin? C’è ancora una carta da giocare. E’ la protezione estrema, conquistata dalla vita e dalla morte di Martin Luther King, il Civil Right Bill. Un processo in America non si può rifare. Ma La guardia giurata Zimmerman deve ancora temere un processo federale per violazione dei diritti civili del diciassettenne abbattuto impunemente nel quartiere sbagliato. Ci sarà un giudice federale (federale, non locale) disposto a farlo e il procuratore federale disposto a sostenere l’accusa? Nel caso non dimenticato di Rodney King quel secondo processo, che non è un appello, ma una difesa dei diritti che solo lo Stato Federale può garantire a ogni individuo ha fermato i disordini (che in quel caso furono violentissimi) e rovesciato il verdetto di assoluzione dei poliziotti in accertamento di colpevolezza, vergogna, espulsione.
Il caso è immensamente diverso, e c’è di mezzo una legge folle. Fra poco sapremo. E sapremo se la comunità nera americana continuerà ad avere fiducia in un presidente come Obama, nonostante il diritto di uccidere di cui alcuni bianchi con poca intelligenza e molto spirito distruttivo si sono impossessati mettendo a rischio (in Florida) l’intera, pluralistica comunità americana.
Da Il Fatto Quotidiano del 16/07/2013.
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