CECCHINI DAGLI ELICOTTERI E BARRIERE DI TANK: OLTRE CENTO MORTI.
L’Egitto non smette di contare i morti, che si accatastano nelle moschee e che non si saprà mai quanti sono in verità. Ieri sarebbero morte almeno una ventina di persone, secondo il bilancio ufficiale, oltre 90 i morti secondo i Fratelli Musulmani, nel “venerdì della rabbia” convocato dagli islamisti in protesta per il massacro di mercoledì, nel quale sarebbero morte “migliaia” di persone, ufficialmente “solo” 600. LA VIOLENZA È INIZIATA ieri subito dopo la preghiera di mezzogiorno, quando i sostenitori dei Fratelli Musulmani hanno cercato di marciare verso piazza Ramsete, in centro, da diversi punti della città, sfidando lo stato di emergenza e i tank. Gli scontri sono scoppiati sui principali ponti del Cairo, che per tutta la giornata è rimasto bloccato e terrorizzato. Nelle strade gli islamisti hanno lottato per ore contro le forze di sicurezza, appoggiate dai militari, e contro uomini armati, forse poliziotti in borghese, agenti dei servizi segreti – o pagati da loro – e semplici cittadini che hanno deciso di “difendersi”. È ormai guerra aperta tra i Fratelli e il resto del paese, profondamente diviso. Il governo ad interim parla ormai apertamente di lotta al terrorismo. In un comunicato, l’esecutivo spiegava così la violenza nelle strade del paese: “Il governo, le forze armate, la polizia e il grande popolo egiziano fanno fronte uniti al malizioso piano terroristico dei Fratelli Musulmani”. In piazza Ramsete, i membri e sostenitori della Fratellanza, si difendono assicurando che non sono terroristi. “Dicono che siamo armati, ma la nostra unica arma è il Corano”, dice una ragazza tutta vestita di nero, mostrando il libro sacro dell’Islam. Sono tante le donne, di tutte le età e venute da diverse province dell’Egitto, ma per la prima volta, nessun bambino: si prevedeva una giornata sanguinosa e per questo, insieme al Corano, i fedeli tenevano le maschere antigas, aceto e Coca-Cola per combatterne gli effetti. Dopo il brutale sgombero degli accampamenti di Rabaa al Adawiya e Al Nahda, gli islamisti ormai sono rassegnati a una repressione sempre più violenta, e sono disposti a resistere. Lo spargimento di sangue “au – menterà il rifiuto del popolo contro il colpo militare”, assicurava ieri la Fratellanza, isolata e sempre più debole, tornata praticamente alla clandestinità. “Questi crimini aumentano le divisioni, che all’inizio erano politiche e adesso si sono macchiate di sangue”, diceva un comunicato. GLI ASSALTI a edifici statali, stazioni di polizia e altri simboli del Governo sono continuati ieri in tutto il paese, e in molti quartieri i vicini hanno organizzato “co – mitati popolari” per proteggere le abitazioni da possibili atti di vandalismo. Il gruppo Tamarro d (“ribellione”) che aveva lanciato la campagna contro Morsi in maggio, ha chiesto agli egiziani di difendersi e di difendere le chiese, che sono state obbiettivo di decine di attacchi questa settimana. Accendere il conflitto settario è sempre stato uno dei trucchi del regime del’ex presidente Mubarak, i cui corpi di sicurezza tornano ora al lavoro con pieni poteri grazie allo stato di emergenza e il permesso esplicito del Ministero degli Interni per sparare, e l’appoggio di una buona parte della popolazione. La strategia della paura funziona sempre, e i media egiziani, soprattutto la tv statale, hanno aiutato ieri a creare uno stato di terrore e allarme, mostrando uomini armati, con maschere nere: boia appartenenti in teoria alla Fratellanza. Pro “golpe” e islamisti si sono ammazzati un po’ ovunque: 8 morti a Damietta (Delta del Nilo), 4 ad Ismailia e 6 a Port Said (Canale di Suez), morti anche ad Alessandria, in un’altra giornata di odio, che si è placato solo dopo il coprifuoco, alle 19, quando hanno smesso di sentirsi i colpi di arma da fuoco che hanno scosso persino i quartieri più altolocati del Cairo.
Da Il Fatto Quotidiano del 17/08/2013.
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