Sfida al Cairo sul minareto di Al Fath, i seguaci dell’ex presidente asserragliati nei luoghi di culto. Il governo: sono fascisti e terroristi.
I militari: sciogliete i Fratelli musulmani. Ucciso il figlio del leader.
L’esercito sgombera Al Fath la moschea degli irriducibili.
Paura per 4 giornalisti italiani: fermati e poi rilasciati.
IL CAIRO-L’ODORE del sangue ristagna ovunque, anche se i morti che i confratelli avevano trascinato dentro la moschea per un’ultima notte di veglia sono stati portati via da ore.
IL MANTO stradale della centralissima piazza Ramses, divelto a picconate per ricavarne pietre da scagliare contro i po-liziotti, è così accidentato che devi stare attento a non inciampare. Sono da poco passate le cinque del pomeriggio: i gas lacrimogeni ancora bruciano gli occhi, mentre gli ultimi curiosi stanno ormai abbandonando la piazza. Dopo una mezza giornata di trattative e qualche sventagliata di mitra contro il suo imponente minareto, le Forze di sicurezza hanno finalmente sgomberato la moschea Al Fath dai Fratelli musulmani più irriducibili, quelli che l’avevano scelta come loro ultima roccaforte durante gli scontri cominciati il giorno prima.
Vi si erano asserragliati venerdì scorso, a tarda notte, dopo ore di violenti combattimenti contro le forze di sicurezza e, soprattutto, contro le brigate anti-Morsi, chissà se davvero composte da civili o da poliziotti in borghese. L’ultimo bilancio ufficiale del “venerdì della collera”, diventato poi il “venerdì di sangue”, parla di 175 morti, ai quali ne vanno probabilmente aggiunti altri 50, che non rientrano nel computo delle autorità. Tra le vittime figura anche il figlio della Guida suprema dei Fratelli musulmani egiziani Mohammed Badie, Ammar, 37 anni, ucciso con due pallottole in testa.
Ieri mattina, alcuni poliziotti sono penetrati nella moschea Al Fath per chiedere uno sgombero pacifico dell’edificio. Nel frattempo, la piazza s’andava riempiendo
di una folla ostile ai confratelli, perciò le decine di loro che hanno subito accettato l’invito dei poliziotti, senza porre condizioni, sono sgattaiolati fuori scortati dalle stesse forze dell’ordine. Intanto, centinaia di uomini continuavano ad accalcarsi contri i cancelli della moschea. Uno di loro, Mohammed Taofik, venditore di prodotti farmaceutici, ci dice: «Là dentro ci sono dei terroristi che sparano contro la polizia e che usano bambini come scudi umani. Sono pendagli da forca: spero che vengano tutti arrestati». Il pensiero di Taofik rispecchia la vulgata generale, anche quando dichiara che il presidente Obama «è un sostenitore dei Fratelli musulmani».
A mezzogiorno, mentre i poliziotti stanno ancora trattando, alle spalle dei blindati che chiudono piazza Ramses cominciano a crepitare le mitragliatrici degli attivisti pro-Morsi. Ci rifugiamo nel portone di un edificio, a pochi metri da un palazzo dato alle fiamme la notte prima, dalle cui finestre escono sbuffi di fumo nero. Due blindati si dirigono allora verso la strada da cui sono partiti gli spari, e le forze di sicurezza decidono che la faccenda va chiusa al più presto, anche perché su un ponte che sovrasta la piazza ogni loro mossa viene ripresa dalle telecamere di
Al Jazeera.
Poche dopo assaltano la moschea, e arrestano buona parte degli occupanti.
Sempre ieri ci sono stati momenti d’ansia anche alcuni giornalisti italiani, portati via dall’esercito durante il blitz contro la moschea, fermati e poi rilasciati solo dopo diverse ore grazie all’intervento dell’Ambasciata italiana. Si tratta dell’inviata di Mediaset, Gabriella Simoni, dell’operatore Arturo Scotti, dell’inviata Rai, Maria Gianniti e del tecnico Sergio Ciani che era con lei. La Simoni è stata aggredita da un gruppo di manifestanti che le ha strappato i vestiti. Difesa prima dal suo autista, e poi finita nelle mani dei militari, la giornalista è stata finalmente rilasciata nel pomeriggio. La Gianniti e Ciani sono stati invece allontanati da piazza Ramses nel momento in cui sono scoppiati gli scontri.
L’esercito egiziano ha arrestato anche il fratello del leader di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri. L’arresto è avvenuto a Giza, un distretto del Cairo, perché sarebbe sospettato di sostenere la causa dei Fratelli musulmani e del presidente Morsi destituito dai militari.
Da La Repubblica del 18/08/2013.
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