Il premier: “Niente margini sulla decadenza. Questo non è l’esecutivo che volevo”. Renzi: chi è condannato deve andare a casa.
“Il Pd mi salvi o Letta cade”. Abbado, Cattaneo, Piano e Rubbia senatori a vita.
Il Cavaliere tenta l’ultima carta “La parola è a Napolitano mi deve commutare la pena”.
Nessuna tregua fino allo show-down del voto in giunta.
NESSUNA tregua, come pure supplicano le colombe del Pdl. Berlusconi si mostra pronto alla guerra. Il countdown per la crisi di governo è iniziato: meno dieci giorni.
NONOSTANTE la consegna del silenzio, chi esce da palazzo Grazioli — dove il Cavaliere ha riunito ieri a pranzo l’ala trattativista del partito — non può fare a meno di registrare l’umore sempre più nero del leader. Certo, l’interessato spera ancora di convincere il presidente della Repubblica a commutargli autonomamente la pena in una sanzione pecuniaria: ormai sono quotidiane le ambasciate che salgono e scendono dal Colle. Ieri è stata la volta del ministro Nunzia De Girolamo, ricevuta per quarantacinque minuti al Quirinale e poi scesa a riferire a via del Plebiscito.
E tuttavia il segnale politico arrivato con il laticlavio a vita concesso ad Abbado e gli altri Berlusconi l’ha subito come un vero e proprio affronto. Peggio, come un tentativo di intimidazione. La notizia gli era stata anticipata la sera prima da Gianni Letta e quasi il Cavaliere non ci voleva credere. Poi lo sfogo davanti ai suoi: «Napolitano controlla la Corte costituzionale e ora vuole controllare anche il Senato. Pensa di mettermi paura ma si sbaglia». È la sagoma di un Letta bis che Berlusconi ha intravisto riflessa oltre le figure dei quattro nominati. «Questi risponderanno solo al Quirinale — osserva uno dei falchi Pdl — e potranno spostare gli equilibri della maggioranza se decidessimo di rompere. A quel punto basterebbero dieci nostri traditori e nascerebbe un nuovo governo
con noi all’opposizione e Berlusconi ai domiciliari». Un incubo per il Cavaliere.
Così, tra un ultimatum e una provocazione, la speranza delle colombe di un’uscita morbida del leader Pdl dalla politica rischia di evaporare insieme ai fumi della battaglia. Eppure ieri ci avevano provato in tanti a convincerlo. Alfano, Gianni Letta, i capigruppo Schifani e Brunetta, Cicchitto. Tulle le colombe riunite insieme attorno al tavolo di palazzo Grazioli. Tante voci ma un solo messaggio: stai calmo, morditi la lingua, non cadere nel tranello di chi dentro al Pd vuole far saltare Letta e ti usa per sabotare il governo. Sembrava che il Cavaliere avesse capito: «Farò come dite voi. Fino al 9 settembre tutti zitti. E vediamo che viene fuori». Le colombe non confidano in un ripensamento da parte del Pd sulla questione della decadenza, ma contano almeno in un supplemento di indagine nella giunta del Senato. Qualche settimana per consentire la creazione di una clima adatto alla commutazione della pena da parte di Napolitano mentre Berlusconi è ancora senatore. Ma la strada è sempre più stretta e i cecchini del Pdl sono appostati alle finestre per impallinare le colombe ogni volta che provano a percorrerla. «Affinché la trattativa con il Colle e con il Pd vada a buon fine — confessa uno dei
“moderati” all’uscita del summit a via del Plebiscito — occorre che tacciano le armi per qualche giorno. Ma c’è un interesse convergente a far saltare tutto da parte dei beccuti del nostro partito e dei renziani». E a incendiare la prateria ci vuol poco. La rabbia del Cavaliere è tanta che basta dargli un microfono perché esploda. Come accaduto ieri. Appena salutate le colombe si è collegato a una manifestazione dei suoi (non numerosissimi) pasdaran e ne ha approfittato per sparare a zero minacciando la crisi con l’evocazione di una «guerra civile».
Anche Pannella — incontrato alle nove del mattino — l’ha scongiurato di «non fare cazzate » e non far saltare Letta. Una crisi metterebbe infatti a rischio la raccolta firme, senza contare che eventuali elezioni anticipate farebbero slittare i referendum a chissà quando. Con la faccia allampanata e la bocca impastata per lo sciopero della sete, «Marco» ha poi fatto venire la pelle d’oca a «Silvio». Prospettandogli una latitanza alla Toni Negri. È stato lo stesso Cavaliere a raccontarlo ai suoi dopo il colloquio con il leader radicale: «Mi ha detto che devo firmare tutti e dodici i referendum e poi… scappare all’estero». L’idea che Berlusconi possa immolarsi sull’altare della «giustizia giusta» come martire della battaglia radicale ha provocato molti sorrisi al desco di palazzo Grazioli. Poi qualcuno ha fatto notare al Cavaliere un particolare: «Guarda presidente che Toni Negri scappava anche da Pannella… lui lo voleva in galera!».
Da La Repubblica del 31/08/2013.
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