RIVOLTA DEI CONSIGLIERI INDIPENDENTI GUIDATI DA ZINGALES CONTRO L’ACCORDO CON TELEFÓNICA.
Il destino di Telecom è segnato, comanderanno gli spagnoli di Telefónica, ma tutto il resto è da decidere. Le incognite sono tre: se il presidente Franco Bernabè si dimetterà, se ci sarà un aumento di capitale e che fine farà la rete fissa. All’improvviso la politica si è svegliata, infatti, e dal Pdl al Pd tutti chiedono che la stessa cosa, così sintetizzata dal premier Enrico Letta: “Non dobbiamo perdere asset strategici come la rete” Si allarma il Copasir, il comitato parlamentare che vigila sull’attività dei servizi segreti: il controllo di un gruppo straniero sulla rete “pone seri problemi di sicurezza nazionale”, dice il presidente, il leghista Giacomo Stucchi. Un allarme che secondo i nostri servizi è prematuro. Antonio Catricalà, viceministro dello Sviluppo, dice al Senato: “Il governo è stato avvertito a cose fatte”.
LA PARTITA della rete è complicata: da anni si discute di come passare dai cavi in rame dell’attuale rete Telecom alla fibra ottica, per avere Internet veloce in tutto il Paese. La Telecom di Franco Bernabè sembrava orientata a separare la rete, mantenendone il controllo per usarla come garanzia per i debiti, ma dando ai concorrenti maggiore libertà d’azione. La Cassa depositi e prestiti avrebbe poi fornito i capitali per passare dal rame alla fibra: l’investimento è sicuro, si ripaga nel tempo e la Cdp (che investe risparmi postali) persegue anche l’interesse nazionale. Secondo stime Telecom, servirebbero 3-4 miliardi di euro, non moltissimo. Ma il progetto si è arenato, vittima anche delle incertezze sul controllo del gruppo. Ora Telefónica non sembra avere alcuna intenzione di separare la rete (in Spagna non l’ha fatto) e con i suoi 51 miliardi di euro di debiti forse non è neppure nelle condizioni di investire. L’alternativa è che la Cdp sviluppi una rete in banda larga parallela, usando la società Metroweb di cui è azionista di controllo che ha già la sua banda larga soprattutto in Lombardia e a Milano. Non c’è un prezzo ufficiale, ma si parla di uno sforzo da circa 10 miliardi. Quello che la Cdp esclude, invece, è comprare a colpi di miliardi la rete dagli spagnoli, accollandosi un’infrastruttura obsoleta a tutto beneficio di Telefónica. Ma si vedrà, questo è un problema di domani. Prima bisogna risolvere i nodi del cambio di controllo, più complesso di quanto appare a prima vista. Lo dimostra la dichiarazione di ieri di Luigi Zingales, economista, consigliere indipendente di Telecom che finora non era mai intervenuto così pubblicamente sull’azienda: Telefónica è “un concorrente diretto in Argentina e Brasile che rischia di forzare Telecom Italia alla dismissione di asset preziosi” e il cambio di controllo va “a sostanziale vantaggio di pochi, senza alcuna considerazione per la maggioranza degli azionisti”. Zingales parla a nome anche degli altri consiglieri indipendenti: Massimo Egidi, Lucia Calvosa, Jean-Paul Fitoussi, Mauro Sentinelli. A confermare le tensioni violente tra azienda e azionisti è stato ieri mattina lo stesso presidente Franco Bernabè, in audizione al Senato: “Abbiamo avuto conoscenza ieri dalla lettura dei comunicati stampa della recente modifica dell’accordo parasociale tra gli azionisti di Telco”. Tradotto: il salotto buono che controllava Telecom fatto da Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca, ha fatto accordi con Telefónica per ristrutturare l’azionariato di Telco (gli spagnoli passeranno dal 46 al 100), la scatola che permette ai soci forti di comandare su Telecom con il 22 per cento del capitale. Accordi che però non hanno coinvolto Telecom. E Bernabè quindi procede come se niente fosse, almeno fino al cda del 3 ottobre, dove si consumerà il conflitto finale: Bernabè vuole soldi freschi in azienda, in cda dovrebbe proporre un aumento di capitale (raccontano che lui avesse già qualcuno pronto a investire e per questo che i sociitaliani hanno chiuso in fretta l’accordo con Telefónica), mentre gli spagnoli vorrebbero fare cassa vendendo Tim Brasil e Telecom Argentina.
LA LINEA di Bernabè, ricevuto ieri al Quirinale, parrebbe sconfitta in partenza, ma il capo azienda sa che in cda niente è scontato. Il consigliere Elio Catania è stato dimissionato (accusato dalla Procura di Roma di divulgare notizie riservate) e ora Bernabè può contare su cinque voti, sommando il suo, quello dell’ad Marco Patuano e i tre indipendenti. Gli spagnoli e il salotto buono Mediobanca-Generali-Intesa su altri sette. Due indipendenti nominati da Telco sono in bilico. Se passessero con Bernabé si arriverebbe allo stallo totale, sette contro sette. E l’operazione di passaggio di controllo agli spagnoli si complicherebbe. La Borsa, per ora, non si fida: ieri il titolo è crollato del 4,6 per cento.
Da Il Fatto Quotidiano del 26/09/2013.
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