«La trasparenza porta a una nuova forma di fascismo, moderno e diverso», dice Claudio Velardi; e poi: «La trasparenza la vogliono i khomeinisti, i pasdaran»; infine, sui famosi 101 del Pd che segretamente impallinarono Prodi: «Hanno semplicemente espresso una loro posizione politica legittima».
Non credo di essere un ‘khomeinista’ o un ‘pasdaran’, ma sono convinto che Velardi sia molto sulla strada sbagliata.
Così come secondo me lo è anche il mio amico e collega Tommaso Cerno, che nel suo blog conia il termine “trasparentismo”: suppongo in senso non propriamente elogiativo, così come “giustizialista” viene talvolta definito chi ritiene che la legge debba essere uguale per tutti.
Quello che è successo ieri al Senato, al netto delle polemiche sul regolamento e sulla sua presunta applicazione contra personam, è stata l’irruzione nel Palazzo della politica di un sentiment che dopo l’avvento di Internet si è sviluppato in tutto il mondo, trasformando le democrazie. Si è diffusa cioè l’idea cioè che la rappresentanza, anziché restare rinchiusa nella delega in bianco che ogni cinque anni facciamo con una croce sulla scheda, si debba declinare nel corso di tutta la legislatura. Questo può avvenire in vario modo: il confronto continuo con gli eletti, le piattaforme di e-democracy, gli appelli, i retrieval, i monitoraggi e i database tipo Openparlamento etc etc.
In altre parole, una cittadinanza avvertita e ‘maggiorenne’ vuole in qualche modo continuare a esserci, a controllare, a contare qualcosa, anche dopo aver fatto la croce sulla scheda.
Io ritengo questa evoluzione positiva: non siamo più gregge sordomuto, ecchecazzo.
Ma la precondizione di tutto questo – cioè dell’accorciamento della distanza tra rappresentante e rappresentato – è che il rappresentato sappia che cosa fa nel Palazzo il suo rappresentante. Il voto segreto, in ogni occasione, taglia le gambe all’origine a qualsiasi ipotesi di controllo del delegato, dato che il delegante ignora come il delegato voti.
A volte, il delegato ancora se ne frega o cerca di fregarsene. Come nel caso dei 101, ad esempio, ma è solo il più famoso.
Che cosa succede a quel punto? Esplode una rabbiosa sfiducia non solo verso il delegato che se n’è fregato, ma verso tutto il sistema democratico che gli ha consentito di fregarsene.
In altre parole, la democrazia rappresentativa, non essendo più percepita come davvero rappresentativa, traballa alla fondamenta.
Sicché prendono quota altre forme di possibile democrazia, tutte da verificare o semplicemente paurose: quella diretta ed elettronica, ad esempio; ma anche quella carismatica, mediatica, personalista: che apre – questa sì – la strada verso forme di moderno autoritarismo.
È quasi meccanico, del resto: se ci si sente truffati dalle dinamiche della democrazia parlamentare, si guarda altrove e magari ci si rifugia nel leader salvifico. Che è un uomo solo al comando (pessima soluzione) ma almeno si sa quello che sta facendo.
Detta diversamente: la trasparenza assoluta dei rappresentanti oggi è l’unica speranza per chi crede nella democrazia rappresentativa; chi invece ritiene che sia da preservare il segreto sull’operato dei delegati, alla democrazia rappresentativa prepara i funerali.
E quando Velardi dice che i senatori di Pd, M5S, Sel e Scelta Civica ieri «non hanno capito che dopo Berlusconi toccherà a loro», beh, io lo prendo come un auspicio.
A proposito, ve lo ricordate il grande Giorgio Gaber, quando cantava questa canzone? Ecco, lui aveva già capito tutto, ancora prima di Internet. La matita ogni cinque anni è stata una bella conquista, ma non ci basta più.
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Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
Sono d’accordo… ne abbiamo pieni i televisori di gente che dichiara una cosa e poi ne fa un’altra.
Vedo che pian pianino qualche idea del M5S inizia a far breccia anche in chi li aveva osteggiati con ferrea decisione senza porsi la domanda delle cento pistole: siamo sicuri che i grillini dicono solo cazzate?