La Borsa chiude un anno d’oro, gli italiani definibili “poveri” sono raddoppiati in sette anni. La ricchezza, invece di allargarsi osmoticamente come il capitalismo promette di saper fare (e spesso ha fatto) si polarizza, si ammucchia, restringe la propria area di influenza. Si divarica — e sono ormai anni — la forbice della disuguaglianza. In una situazione come questa, complicata ma a suo modo assai eloquente, è del tutto logico che il segretario del Pd — il grosso della sinistra italiana — sia irrequieto. Che incalzi il governo. Che senta incombere la febbre sociale. Si legge in questi giorni di una imprevista empatia tra Matteo Renzi e la sinistra-sinistra. Vedi le cordialità tra lui e Landini, capo della Fiom. Certo, colpisce che Renzi provenga dall’area cattolica (qualcuno precisa: democristiana) e non da quella ex comunista. Una fama (anche pregiudiziale) di “persona estranea alla sinistra” lo ha avversato fin qui. Ma la vera anomalia che i suoi primi passi da segretario del Pd stanno mettendo in luce è quanto poco, prima di lui, sono stati capaci di fare e di dire, mentre l’iniquità sociale galoppava, gran parte degli ex comunisti.
Da La Repubblica del 31/12/2013.
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