Al desolante elenco di insulti tra uomini pubblici fatto ieri su questo giornale da Francesco Merlo va purtroppo aggiunto che l’attuale assetto mediatico favorisce, e di molto, il loro diffondersi e prosperare. Ha molte più probabilità di essere ripreso amplificato un giudizio sommario, un’offesa greve, di qualunque altra forma retorica. C’è un ritmo di fondo, nei media, che con poche eccezioni premia l’urlaccio, il gesto dell’ombrello, la sintesi chiassosa. Il ragionamento annoia, la sfumatura non seduce. Dite che aveva ragione Hitler, o che Tizio è uno scimunito, o che le donne sono tutte mignotte, e un minuto dopo sarete la star dei social network; un’ora dopo sarete invitati a parlare alla radio in una di quelle trasmissioni che fanno casting con i nazisti, i pazzi e gli isterici; la sera stessa avrete accesso a un talkshow televisivo; la mattina dopo sarete su tutti i giornali.
È un contagio che non dà scampo. È come se esistesse un vaglio che seleziona soprattutto le parole guaste, le opinioni deraglianti, per una spettabile clientela (noi) totalmente arresa alla propria morbosità spicciola; ci addensiamo attorno all’incidente verbale; clicchiamo sulla porcheriola; premiamo la trasmissione laida; ripetiamo all’amico la bestialità appena udita; come i bambini a scuola, che ridacchiano perché alla prof è scappata la parolaccia.
Da La Repubblica del 18/02/2014.
L’ha ribloggato su .