CENSURA ROSA.
Un conto è una (giusta e ponderata) difesa dell’equilibrio di genere nelle istituzioni. Un’altra è invece la difesa d’ufficio di un ministro femmina colpita dalla satira televisiva, che di per sé non può che essere urticante, non certo condiscendente. Eppure ieri la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha sentito la necessità di prendere le parti di Maria Elena Boschi, la bionda responsabile delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento, forse la più vicina al premier Matteo Renzi, secondo lei ingiustamente “attaccata” da una performance dell’imitatrice Virginia Raffaele a Ballarò. Piece che descriveva la stessa Boschi come un’ammaliatrice che ricorre al suo charme ogni volta che deve parlare “concretamente” del modo in cui il governo Renzi intende cambiare il Paese, non avendo argomenti davvero “concreti” da poter mettere sul piatto. Una satira, va detto subito, che non ha offeso in alcun modo il ministro, tant’è che lei stessa, su Twitter, ci ha poi tenuto a far sapere di essersi “molto divertita” nel vedersi dipinta, in buona sostanza, come la classica gatta morta messa sulla poltrona di ben due ministeri solo per scaldare il posto e nulla più. Va detto – anche – che l’ironia (sincera?) della Boschi nasceva per mettere a tacere la precedente intemerata di Michele Anzaldi del Pd, un ex rutelliano di stretta osservanza, ora asceso al ruolo di fustigatore della Rai, che si era affrettato, subito dopo l’irriguardosa satira, a difendere la Boschi come si farebbe per “la donna del capo oltraggiata”, scrivendo addirittura alla presidente Rai, Anna Maria Tarantola, per lamentarsi accoratamente dell’imitazione come un Brunetta qualsiasi: “É questo forse il Servizio Pubblico?”. Dall’iniziativa di Anzaldi, va da sé, i renziani hanno preso le distanze, al punto da costringere l’estensore della missiva a giurare di aver fatto tutto da solo, senza imbeccate. Insomma, doveva finire così, con una brutta figura collettiva nel segno della difesa (non richiesta) di Maria Elena Boschi. E poi, invece, arriva lei, la Presidente della Camera. Che quando ormai tutti si erano dimenticati dell’imitazione, decide di tornare sull’argomento. Sollecitata, sulla questione di genere, da Lucia Annunziata in “In mezz’ora”, la Boldrini se n’è uscita così: “Mi è dispiaciuto vedere la satira della Boschi, non ho visto quella sulla Pascale (andata in onda la settimana prima, ndr), ma se aveva gli stessi accenti sessisti mi sarebbe dispiaciuto; ci sono tanti modi per fare satira, ma quando si cede al sessismo diventa altro e lo apprezza di meno”. Satira sessista? E allora perché non prendersela anche con Crozza quando attacca la Ravetto o la Polverini? Perché, insomma, difendere solo la Boschi e non le altre? E, infatti, l’Annunziata ha posto proprio questo tipo di quesito alla Boldrini; del resto, solo fino a qualche tempo fa, Carfagna, Gelmini e tutte le altre hanno subìto ben altro. Boldrini, però, non è apparsa altrettantoconvincente: “Ho conosciuto donne di Forza Italia che si impegnano, sono brave e lavorano sodo – ha detto – non vedo perché non debbano essere rispettate; c’è una dimensione maschilista e trasversale, fare satira su aspetti estetici è sgradevolissimo, sia da destra che da sinistra e il rispetto per le donne non ha bandiera”. Certo, come no. Ma alla presidente della Camera non dovevano sfuggire anche le ragioni d’opportunità di una difesa così diretta della Boschi, di cui siamo in attesa di testare le capacità. Se un ministro riesce a ridere di sé e di chi se la prende con lei con leggerezza, perché poi intervenire come Terza Carica dello Stato per fustigare e censurare i costumi satirici della Rai come un Gasparri di qualche tempo fa? E poi, proprio sicura che la parità di genere si difenda così? Forse è arrivato il momento di rivalutare concettualmente la parola “sessismo”. Prima di scadere in difese di genere che più che efficaci, sono un po’ ridicole. Ma forse qualcuno vorrebbe dare un nuovo senso alla parola satira.
Da Il Fatto Quotidiano del 10/03/2014.
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