GRUPPO INFUOCATO IN MATTINATA. POI MINISTRI BARRICATI IN AULA PER SALVARE LA LEGGE ELETTORALE.
Emanuele Fiano e Ettore Rosato (Area Dem, ora con Renzi) si affannano col pollice alzato. Andrea De Maria (Giovani Turchi) fa lo stesso. Roberto Speranza, il capogruppo, voluto da Pier Luigi Bersani, sta seduto e non muove un muscolo del viso. I renziani si accalcano intorno a Matteo Richetti, che qualche minuto prima ci ha messo la faccia per ricomporre la bocciatura delle quote rosa. Sui banchi del governo Maria Elena Boschi e Marianna Madia si stringono. Si vota l’emendamento Gitti, quello che chiede la doppia preferenza di genere. E tutti nel Pd, chi tifa per Renzi e chi rema contro, sono consapevoli del fatto che il futuro della legge elettorale, e pure dell’esecutivo, sono legati al no a questa modifica. Se passa è l’accordo con Forza Italia che rischia di saltare. Stavolta Cinque Stelle ha annunciato il voto a favore: un modo per mettere il Pd nei guai. Ma “la Camera respinge”. Con pochissimi voti di scarto: 297 no e 277 sì (maggioranza fissata a 288). Solo Pd più Ncd più Forza Italia più Sc ne farebbero 416. In Aula sono presenti 23 tra ministri e Sottosegretari. Il governo rischia, si salva per il rotto della cuffia. Quando la Boschi ha capito l’andazzo, nel primo pomeriggio, ha convocato tutti i membri del governo. Persino, nell’agitazione del momento, i non eletti e i senatori. “Dobbiamo chiudere qualche fronte, perché così non si tiene”, commenta un autorevole esponente dem.
LA GIORNATA si preannunciava difficile. Renzi aveva convoca alle 8,30 di mattina l’assemblea del gruppo al Nazareno. Doveva servire a ricomporre dopo la bocciatura della parità di genere, ma evidentemente ottiene l’effetto opposto. Il segretario-premier è teso e all’attacco. “In questi 20 anni abbiamo capito che siglare accordi decenti con Berlusconi non è facile. Io ne ho portato in fondo uno non perfetto ma più che decente e vorrei mi venisse riconosciuto. Sono riuscito a strappare il doppio turno e l’innalzamento delle quote di premio da 33 a 37. Mi avete chiesto di far valere l’Italicum solo per la Camera e io vi sono venuto incontro. Non sono riuscito a introdurre la parità di genere. Ma non posso accettare che i problemi mi arrivino dal Pd”. Se la prende con la Bindi, che ha rilasciato a Repubblica un’intervista per dire che la legge è incostituzionale. “Non sono d’accordo”. Poi, va sul personale: “Tu Rosy, in passato non ti sei preoccupata nello stesso modo di questa questione”. I due non si sopportano da sempre. Ma il livello dello scontro si alza. Lei lo interrompe: “Noi abbiamo un’idea diversa della democrazia di un uomo solo che fa le cose buone. Il Pd è stato ferito dai 100 voti che sono mancati per far passare la norma antidiscriminatoria”. Interviene il lettiano Meloni. Contro. Il malumore è tantissimo. Prende la parola il deputato Maino Marchi, capogruppo Pd in Commissione Bilancio: “La matrice culturale del voto contro le quote rosa è nelle parole pronunciate da Renzi domenica in tv”. Il quale aveva detto: “Le deputate fanno una battaglia per la parità di genere per garantirsi la poltrona”. Dimissioni sono “irrevocabili”. Spiega: “Ho votato la fiducia solo per responsabilità”. In assemblea gli interventi sono 5. Poi Renzi deve andar via. Ne erano stati richiesti 14. Tra cui quello del renziano Dario Parrini. Che avrebbe voluto dire che la legge è una buona legge. E soprattutto che non accetta strumentalizzazioni. “Si è cercata un’operazione politica per dire che ionon controllavo il Pd – si sfoga con i suoi Renzi in serata – Usando il voto segreto qualcuno ha tentato la rivincita sulle primarie”. Alle donne in Assemblea aveva assicurato: “Se ci saranno le condizioni per discutere al Senato di parità di genere, riapriremo la discussione”. Non basta.
IN AULA diventa chiaro. Bocciato per soli 35 voti l’emendamento La Russa sulle preferenze. Torna il fantasma dei 101. Allarme rosso. Il Pd diviso in correnti e correntine fa riunioni per capire fino a che punto spingersi. Enrico Letta in Aula non c’è. E neanche Bersani che va ad Agorà ma non a dare il suo voto a Montecitorio. Cuperlo prova a riunire la minoranza, ma non ci riesce. Renzi manda sms a tutti per dettare la linea e commentare in diretta quel che succede. Uno spettacolo che non è esattamente di suo gradimento. Marco Meloni presenta un emendamento per fare le primarie. Commissione e governo danno parere contrario (è contro l’accordo). Si vota a scrutinio palese. A favore, tra gli altri, Bindi, Boccia, Damiano, Fassina,Mosca, Zampa. Astenuti, Civati, Cuperlo, Bray. Lettiani, bersaniani, dalemiani. “Votare contro le primarie per legge – attacca Boccia – è stato come rinnegare l’atto costitutivo del Pd”. Lo stesso Boccia dichiara il suo voto contrario alla legge: “È invotabile come il porcellum”. Boccia è il presidente della Commissione Bilancio. Guai in vista per il futuro. La Bindi in Aula dichiara il suo voto a favore dell’emendamento Gitti. E la battaglia non finisce. “È una ferita che resta, che si approfondisce”, dice Paola De Micheli (lettiana). Le donne si riconvocano in serata, prima del voto finale poi slitattato a stamani, per discutere di come muoversi in Senato. Lì i numeri promettono malissimo, con una maggioranza ben più risicata che a Montecitorio. Però non c’è il voto segreto. Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali, anti renziana doc, ha già annunciato l’intenzione di cambiare la legge. Molte senatrici sono sul piede di guerra. Renzi promette: “La legge elettorale va. La miglioreremo da posizioni di forza”.
Da Il Fatto Quotidiano del 12/03/2014.
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