ABI PROTESTA PER LE TASSE CON CUI RENZI PAGHERÀ GLI 80 EURO E HA GIÀ INIZIATO A MUOVERSI PER AVERE UNO SCONTO IN PARLAMENTO. IPOTESI TAGLIO DA 35 MILIONI ALL’UNIVERSITÀ.
Anche se in sordina è già partita. S’intende quella che potremmo chiamare la trattativa Stato-Banche sull’aumento delle tasse con cui Matteo Renzi pagherà circa due miliardi del suo bonus fiscale da 80 euro. Breve riassunto: il governo Letta, come si ricorderà, decise di rivalutare le quote di Bankitalia da 153mila euro a sette miliardi e mezzo. Per le banche che le hanno a bilancio significa una plusvalenza che, ovviamente, va tassata: Letta e Saccomanni scelsero l’aliquota di favore del 12 per cento (dopo il 20 ipotizzato nelle bozze di decreto e il 16 inizialmente scelto). Il gettito previsto era circa 900 milioni da pagare in tre anni: la prima rata sarebbe scaduta il 30 giugno. Ora Renzi ha invece deciso di portare l’aliquota al 26 per cento (per un gettito di 1,95 miliardi circa) e di imporre alle banche il pagamento immediato della tassa.
IERI IL PRESIDENTE dell’Abi, Antonio Patuelli, ha ufficialmente dato il via al pianto greco degli istituti di credito: “il forte aumento della pressione fiscale deliberato ieri si assomma a quello deciso il 25 novembre scorso dal precedente governo: ci auguriamo un forte ripensamento”, anche perché così “l’Italia, inserita nell’Unione bancaria, penalizza fiscalmente le banche operanti in Italia rispetto a quanto avviene alle concorrenti degli altri paesi Ue” proprio nel momento in cui il settore del credito tenta di uscire dalla crisi. Gli ha risposto ufficialmente il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta: “Mi sembra una reazione sproporzionata”. Renzi, invece, s’è limitato a far circolare una frase ufficiosa: “Vengo criticato sia dall’Abi che da Grillo: mi chiedo chi sia il pupillo delle banche”. Al di là delle schermaglie ufficiali, come si diceva, la trattativa è già partita. Fonti di governo e di maggioranza rivelano che, in alcune telefonate arrivate ieri, l’Abi abbia già avanzato la sua proposta di mediazione (che avrà il sostegno della potente lobby bancaria alle Camere): si può anche pensare di pagare tutto il dovuto nel 2014, ma l’aliquota del 26 per cento va abbassata durante la conversione del decreto in Parlamento. La minaccia è la solita: seppellire il decreto sotto la solita caterva di ricorsi, visti gli “effetti retroattivi giuridicamente più che discutibili” del provvedimento.
DIFFICILE, PERÒ, che Renzi e Pier Carlo Padoan ci ripensino: quei due miliardi sono fondamentali per portare a casa la manovra sugli 80 euro fin da maggio. Il problema, semmai, è un altro e non riguarda le banche, ma i cittadini. Circa 900 milioni del gettito previsto da 1,95 miliardi sono già inseriti al bilancio dello Stato: è vero che né l’ultima legge di Stabilità né il decreto Imu/Bankitalia gli assegnano una destinazione. Quest’ultimo testo, però, ha una sorpresina in fondo che rischia di costare circa un miliardo agli italiani: quel decreto aboliva la seconda rata Imu del 2013, coprendola con un aumento degli anticipi sugli acconti Ires e Irap per banche e assicurazioni (che vanno rimborsati), contemporaneamente decideva l’operazione sulle quote di Bankitalia. In un piccolo comma, però, è nascosta anche la clausola di salvaguardia: se per effetto di questi anticipi ci fosse minor gettito e, dunque, uno scostamento degli obiettivi di bilancio, il ministero del Tesoro è autorizzato ad aumentare le accise dal 1 gennaio 2015.
Le banche o i superburocrati – quelli che non vogliono il tetto degli stipendi a 240mila euro – non sono però l’unico problema del governo. La rete studentesca Link ha denunciato che nel testo approvato dal Consiglio dei ministri c’è un taglio di 30 milioni quest’anno e di 45 il prossimo al Fondo di finanziamento ordinario per le università: “Così il sistema pubblico della ricerca non sopravvive. Se la cosa sarà confermata Renzi e il ministro Giannini si preparino a una mobilitazione generale in tutti gli atenei”. La sforbiciata, peraltro, risulta anche ai rettori, che però attendono di vedere il testo definitivo del decreto – in Gazzetta Ufficiale forse martedì – prima di far sentire la loro voce. La preoccupazione, comunque, c’è: lo stesso Renzi, d’altronde, ha inserito tra le coperture 200 milioni di tagli ai ministeri (oltre ai circa 400 accollati alla Difesa).
Poco importa. Il consenso di Renzi – ancora senza l’effetto degli 80 euro – è comunque altissimo: secondo un sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, il Pd viaggia ormai attorno al 35 per cento delle intenzioni di voto, mentre il M5S è dato al 21,4 e Forza Italia sotto il 20. Matteo, pare, è il nuovo Silvio.
Da Il Fatto Quotidiano del 20/04/2014.
Rispondi