SICAPISCE che la Rai debba pagare pegno alla crisi economica e più ancora alle cattive abitudini di parastato contratte in più di mezzo secolo di infeudamento ai partiti politici, al tempo stesso suoi protettori e suoi persecutori. Ma da antico utente, e senza alcuna tentazione fiancheggiatrice delle varie gilde interne a quell’aziendona, pavento il deperimento finale di quel che rimane di quella “raitudine” un poco impostata, un poco ministeriale, ma bene educata e bene educante (a partire dall’italiano ben pronunciato) che ha dato parecchio a questo paese.
Forse è un sentimento (anche) conservatore, ma sono tra quegli italiani che nei lunghi e penosi anni dello sbraco estetico e culturale in groppa al quale ha viaggiato il berlusconismo ha trovato spesso rifugio nei palinsesti Rai, come se lì mi sentissi ancora a casa, meno spaesato e meno isolato. Più tutelato, e non sto parlando di politica: sto parlando di identità culturale. Tutto passa e tutto cambia, ma un’Italia senza Rai, o con una Rai ridotta a poca cosa, mi sembrerebbe un’Italia indebolita nella sua identità. Non era poi così peregrina la domanda fatta da Floris a Renzi: se penalizzare la Rai non favorirebbe Mediaset. Fa legittimamente parte, quella domanda, dell’intero pacchetto all’esame del governo.
Da La Repubblica del 04/06/2014.
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