Razzi dalla Striscia e raid israeliani la tregua è finita torna l’incubo a Gaza
I colloqui del Cairo sono falliti Netanyahu avrebbe prolungato il cessate-il-fuoco senza condizioni. Ma la proposta è stata respinta da Hamas
Cinque vittime tra la popolazione: ucciso un bambino di appena dieci anni
Il conflitto.
GERUSALEMME – NON hanno neppure avuto bisogno di guardarsi negli occhi. Il rifiuto era deciso prima ancora che cominciasse la tregua di tre giorni. Era scontato che non venisse prolungata. O che non portasse a qualcosa di positivo. Dopo decenni di odio e un mese di massacro non ci si poteva dichiarare d’accordo troppo in fretta, sia pure per un altro effimero cessate-il-fuoco. Era il primo round. Una pausa di 72 ore era già un miracolo della terra non per niente tre volte santa. Un’altra manciata di morti e sarà possibile fare di più. L’intensa ripresa dello scontro tra razzi palestinesi e incursioni aeree israeliane non può durare a lungo. Le reazioni del mondo pesano. Le vittime lacerano la popolazione di Gaza; assumono un peso politico per Hamas; non esaltano la democrazia israeliana quando il numero di quelle palestinesi è sproporzionato.
L’argomento della densità degli abitanti e il loro uso come scudi può non essere sempre infondato, ma la condizione umana è soprattutto una realtà, anche se diventa uno strumento. Almeno una pausa supplementare è dunque urgente. Niente pronostici. Farne sarebbe azzardato.
AL Cairo, israeliani e palestinesi non si sono neppure incontrati faccia a faccia per trattare. Erano in camere separate e gli egiziani facevano la spola assecondati dagli americani. I primi, i padroni di casa, non amano Hamas, è la versione palestinese dei Fratelli Musulmani decimati l’anno scorso dal maresciallo Al Sisi, il nuovo raìs, e adesso il grande mediatore, sulle sponde del Nilo. I palestinesi non dovevano sentirsi tanto sicuri. Uno di loro cercava di muoversi tenendo sempre le spalle incollate al muro. L’hanno raccontato i cronisti andati ad ascoltare le dichiarazioni degli uomini di Hamas in un periferico albergo del Cairo, dopo essere stati minuziosamente identificati dai servizi di sicurezza egiziani.
Uno spera sempre, in questi casi, che le cose vadano meglio di quel che lascia intravedere la logica. Ieri, venerdì, quando si sono sentite le prime esplosioni siamo stati in tanti a essere delusi. Chi ha la vista buona ha persino seguito in cielo la striscia bianca, simile a una stella filante candida, che neutralizzava uno dei 33 razzi palestinesi lanciati, subito dopo la fine della tregua, tra le 8 e le 13, e atterrati nel Sud di Israele senza fare danni. Alcuni sono esplosi in aria colpiti per fortuna dalla Cupola d’acciaio (lo scudo antimissili Iron Dome), e così neutralizzati prima che cadessero sui tetti della città d’Ashkelon. I restanti sono finiti in zone deserte.
Era di primo mattino a Gaza, e per le strade la gente era tanta. Seppelliti i morti, restavano le macerie e la voglia di quiete dopo le sanguinose giornate di luglio. La decisa risposta israeliana al lancio dei razzi palestinesi ha segnato il ritorno a quella che sembrava diventata realtà quotidiana. Zuheir, 19 anni, racconterà poco dopo che il fratello Ibrahim, 10 anni, era rimasto ucciso sul sagrato della moschea nel quartiere Sheik Radwuan. A fine giornata, cinque le vittime tra i palestinesi.
Gli israeliani avrebbero prolungato il cessate- il-fuoco senza porre condizioni, a respingere la proposta è stata Hamas costretta a dimostrare di esistere ancora dopo i 29 giorni di sangue. Ha però detto di essere sempre disponibile alle trattative. Doveva tuttavia ottenere al Cairo qualche cosa di concreto. Era incalzata dalla sua componente armata e dai movimenti estremisti come la Jihad islamica, non a caso la prima a lanciare i razzi al fine di dimostrare la fine della tregua. Di concreto Hamas ha chiesto il ripristino del porto per ricevere aiuti e rilanciare un traffico marittimo. Ha chiesto altresì l’estensione della zona di pesca essenziale per la vita di molti abitanti. Ha chiesto il rilascio dei prigionieri. Ha chiesto la libertà degli abitanti di uscire dai confini della Striscia. In sostanza ha domandato la fine del blocco imposto dagli israeliani. È assai improbabile che ci sia stato il tempo per affrontare con chiarezza tutte questi argomenti. Il Cairo era un appuntamento in cui le parti non dovevano perdere la faccia. È dai risultati che si riconosce chi ha vinto una prova. E l’esito del conflitto di luglio è ancora incerto. Lo si deciderà la prossima volta forse con le trattative forse ancora con le armi.
Gli israeliani hanno avanzato soprattutto la proposta di smilitarizzare Gaza. Pare non si siano opposti all’estensione della zona di pesca o all’accesso alle zone agricole confinanti con Israele, ritenute di sicurezza e per questo abbandonate. Hamas non poteva partire dal Cairo a mani vuote e al tempo stesso impegnarsi in un altro cessate-il-fuoco. Israele non poteva fare concessioni, senza ottenere perlomeno l’avvio di una discussione sulla smilitarizzazione. In tal caso Hamas sarebbe uscita vincente dallo scontro di luglio, il terzo in cinque anni. Sintomo positivo è la smobilitazione parziale di Israele che ha dimezzato gli 82mila uomini in armi.
La questione essenziale resta la neutralizzazione di Hamas. Il suo disarmo vasto e lungo programma. A parte le emozioni del momento dovute ai 2mila morti, il movimento è classificato terrorista e ormai apertamente inviso a quasi tutti i regimi della regione: a Israele, ovviamente, ma anche all’Egitto, all’Arabia Saudita e a quasi tutti gli emirati del Golfo, con l’eccezione del ricco Qatar. L’appoggio dell’Iran un tempo aperto è adesso più sfumato. Teheran è impegnata in negoziati sul nucleare ed evita di appesantire la sua posizione. Di riflesso è diminuito il sostegno degli Hezbollah libanesi, sensibile ai richiami iraniani. Le carte mediorientali sono stata rimescolate. Al confronto sunniti-sciiti, si è aggiunto quello all’interno dei sunniti tra islamisti e anti-islamisti. L’isolamento di Hamas subisce questi mutamenti.
La sua comparsa sulla ribalta mediorientale risale al 14 dicembre 1987, quando fu pubblicato un documento in cui un quasi sconosciuto Movimento della resistenza islamica (Hamas) garantiva l’appoggio alla sollevazione palestinese (la seconda Intifada) appena cominciata. Parenti dei Fratelli musulmani egiziani, quelli di Hamas sono diventati nei due decenni successivi i protagonisti dell’opposizione alla presenza israeliana. Estranei ai grandi gruppi nazionalisti, piuttosto dediti all’assistenza sociale e sanitaria, con un’impronta islamica, i capi di Hamas sono stati a lungo osservati con indulgenza dagli israeliani allora preoccupati i dalle grandi formazioni nazionaliste, quali Al Fatah. È nel 1988 che avviene la svolta con un documento, reso pubblico in agosto, in cui alla netta impronta islamica e antiebraica si affianca la difesa di una visione integralista della Palestina. Frutto dell’imperialismo, Israele non ha alcuna legittimità per Hamas, la quale esclude quindi ogni possibile compromesso con lo Stato ebraico.
Da qui la condanna degli accordi di Oslo del 1993 (tra l’Olp e Israele) e l’avvio di un’attività terroristica che per due anni, tra il 1994 e il 1996, farà numerose vittime israeliane con gli attentati dei kamikaze. Questi ultimi assumeranno un ritmo intenso dalla primavera del 2001, a opera delle Brigate Ezzedine al-Qassam. La strepitosa vittoria di Hamas nel 2006 alle elezioni del Consiglio legislativo palestinese, non fu tanto dovuta a una svolta islamista della popolazione, quanto al rifiuto della corruzione dei vecchi movimenti nazionalisti, quali Al Fatah. Messo al bando come movimento terrorista, nonostante la vittoria elettorale, Hamas si lanciò un anno dopo in un atto di forza e decise la secessione di Gaza dal resto della Palestina. È a quegli avvenimenti che si riallaccia il progetto di riportare la Striscia, sull’orlo del fallimento finanziario e semidistrutto dalle reazioni israeliane, sotto il controllo della moderata Autorità palestinese alla quale si è parzialmente ricongiunta da alcuni mesi. Rinsavire Hamas, le sue componenti armate e terroriste, e i suoi concorrenti estremisti, non è tuttavia un’operazione agevole.
Da La Repubblica del 09/08/2014.
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