Concessi alcuni giorni prima dell’applicazione delle misure Via allo scambio dei prigionieri. Nuovi scontri a Donetsk.
MOSCA – «Mariupol era, è e resterà nostra», dice il presidente ucraino Petro Poroshenko arringando gli operai metalmeccanici della città portuale diventata improvvisamente il termometro della tregua barcollante del Donbass: inciampando tra una provocazione e un attacco limitato, il cessate il fuoco in qualche modo
tiene, e consente di guardare avanti e di sperare. Ieri sera Poroshenko e Vladimir Putin sono tornati a sentirsi telefonicamente, e nuovamente hanno convenuto che ci sono le condizioni per proseguire lungo il difficilissimo sentiero di pace. Ma la tensione resta alle stelle, e sporadici scontri a Donetsk e intorno a Mariupol — sul crocevia strategico che unisce la Russia e la Crimea — sono una minaccia costante.
Se ci sarà un attacco in forze per rompere la tregua, tutti pensano che avverrà a Mariupol.
Per questo Poroshenko a sorpresa è volato ieri proprio lì, puntellando le difese emotive con messaggi incrociati destinati non solo ai volontari civili, ma anche ai ribelli. «Ho ordinato alle forze armate di garantire la difesa della città con i Grad e con i carri armati: il nemico soffrirà una sconfitta devastante» dice ringraziando i civili che hanno eretto barricate e scavato trincee. Ma sono altre le parole che fanno sobbalzare: «Abbiamo ottenuto un accordo con alcuni Paesi della Nato che ci offriranno un equipaggiamento di armi moderne permettendoci di difenderci e vincere», dice ribadendo parole che sembrano andare ben oltre gli «elmetti e giubbotti antiproiettile» che Roma ha ammesso di aver concordato di dare, anche se qualsiasi condottiero per restituire morale alle
truppe promette quel che può e anche quel che non potrebbe. Intanto si va avanti con lo scambio dei prigionieri: ieri sono tornate a casa 1.200 persone, secondo quanto ha raccontato lo stesso Poroshenko. In cambio sarebbero stati liberati circa trecento ribelli, ma il quartier generale della “Novorossia” rivendica di avere un migliaio di «dispersi» in realtà «prigionieri che Kiev non vuole restituire». Scaramucce.
Mentre la gente del Donbass tira avanti come può, sperando per il meglio, al tavolo internazionale le carte sono sempre più complicate. Le sanzioni Ue sono state approvate ieri sera, ma alla fine l’Europa ha deciso di concedere ancora qualche giorno a Putin prima dell’applicazione delle nuove misure. E giovedì a Mosca si incontreranno funzionari americani e russi per discutere del trattato sugli armamenti del 1987: altra tensione, a inizio anno un generale russo minacciò l’uscita della Russia.
Da La Repubblica del 09/09/2014.
Rispondi