Vertice a palazzo Chigi sulla Spending review Cgil in piazza, Fiom annuncia lo sciopero contro il governo.
ROMA – Un sacrificio del 3% del budget, non lineare: alcuni potranno dare di più, altri di meno. Dipenderà dalle capacità di eliminare gli sprechi e di mettere in atto la fatidica spending review. In vista del vertice, previsto per domani, tra Renzi e la schiera dei ministri di spesa, ieri il titolare dell’Economia Padoan, il ministro delle Riforme, Maria Elena Elena Boschi, e il consigliere economico Yoram Gutgeld hanno messo sul tavolo una serie di proposte tecniche. Ad illustrare le cifre Carlo Cottarelli: il commissario alla spending review, in «frizione» con il governo dopo le sue dichiarazioni contro gli sforamenti della spesa pubblica del 31 luglio scorso. Dopo le ripetute voci di abbandono e di ritorno all’Fmi del tecnico del Tesoro, “Mr.Forbici”, a quanto si apprende, resterà al suo posto solo fino alla legge di Stabilità.
Il percorso, messo a punto dalla riunione di ieri, dovrà essere compiuto entro tre settimane: il primo ottobre sarà presentata la nota di aggiornamento al Def con il nuovo quadro economico e il 15 ottobre la legge di Stabilità. Durante questo periodo le acque saranno agitate. Susanna Camusso (Cgil) annuncia una manifestazione per il lavoro entro i primi 10 giorni di ottobre. E lo stesso Landini – spesso interlocutore di Renzi, che ha appena incontrato – mobiliterà le tute blu della Fiom il 25 ottobre a Roma, proponendo anche 8 ore di sciopero.
La linea di lavoro, che vuole seguire Renzi, è quella di tagli del 3%: poiché la spesa pubblica, al netto degli interessi, è circa di 700 miliardi, si tratta dunque di trovare 20 miliardi. Il compito graverà sui ministri di spesa: saranno richiesti risparmi al ministro della Sanità, Lorenzin, a quello del Lavoro, Poletti, a quello dello Sviluppo, Guidi a quello degli Interni, Alfano (il quale, però, è ottimista: «Ci sono le condizioni per lo sblocco degli stipendi delle forze di Polizia purché i sindacati abbassino i toni che hanno il sapore della minaccia ») La lista degli impegni resta
gravosa. Da trovare ci sono 7-10 miliardi per il rinnovo del bonus Irpef da 80 euro per il 2015; 4 miliardi di spese indifferibili (Cig in deroga, 5 per mille, missioni militari ed altro); 4 miliardi di tagli alle spese postati sul 2015 dal governo Letta, pena l’entrata in funzione della clausola di salvaguardia con relativo taglio lineare delle agevolazioni fiscali. Infine 2-3 miliardi dovranno servire per proseguire nella correzione del deficit.
Il quadro della crescita intanto peggiora: dopo le docce fredde delle ultime settimane, per quest’anno è già assodato un Pil leggermente sotto lo zero, cioè in recessione, e soprattutto per il prossimo non si dovrebbe arrivare sopra l’1, nonostante le stime del governo siano ancora all’1,3%. Significa meno entrate fiscali e dunque la necessità di trovare maggiori risorse. Non solo ombre: ci sono almeno un paio di elementi che possono contribuire ad alleggerire la scure del governo e, finché rimarrà in carica, di Cottarelli. Il primo e più importante aspetto confortante è la riduzione dei tassi dopo le mosse della Bce: lo spread è ormai ben sotto quota 150 e anche i tassi a lungo sul Btp decennale oscillano intorno al 2%. La conseguente minor spesa per interessi sarebbe di circa 3 miliardi. L’altra mini-boccata di ossigeno è la rivalutazione del Pil, secondo le nuove norme Eurostat: non sarà molto, ma contribuirà ad una piccola limatura a deficit e debito. Infine la variabile cruciale, ben presente sul tavolo anche ieri: sarà l’obiettivo di deficit-Pil che si porrà per il prossimo anno. Il Def fissava l’1,8% per il 2015, ma già prima dell’estate Renzi aveva annunciato di voler portare il livello al 2,3%: dunque più margini di manovra. Non si andrà comunque oltre il 3%, anche secondo le più recenti stime dei centri di ricerca. L’Italia conta sempre sulla flessibilità in cambio di riforme. Ma anche sul piano europeo l’Italia fa pressing: ieri il sottosegretario Gozi ha proposto di rivedere gli obiettivi di deficit per tutta Eurolandia in ragione di “circostanze eccezionali” come la crisi Ucraina e le svalutazioni dei Bric.
Da La Repubblica del 09/09/2014.
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