LA PROTESTA DEL 25 OTTOBRE CONTRO IL JOBS ACT SARÀ LA PROVA GENERALE.
Ad occhio, il futuro prossimo di Maurizio Landini è niente male. Ma deve decidere presto su cosa puntare. Deve scegliere cioè se provare a scalare la segreteria della Cgil, come gli chiedono i golden boys del sindacato rosso, una schiera di quarantenni sempre più combattivi che ritrova nella sua libertà espressiva, quella mitraglia così effervescente e pop, la calibratura giusta per il dopo Camusso e un sindacato da rinnovare completamente. Oppure dare retta all’altra metà del cielo, la politica, e intestarsi la più rischiosa delle imprese ma anche la più suggestiva e forse importante: far nascere ai bordi del Partito democratico una sigla che raccolga gli invisibili, quell’elettorato vasto ma disperso e rassegnato all’attesa che qualcosa debba pur accadere nella sinistra italiana. ERA GIÀ PRONTA una candidatura alle scorse politiche da lui naturalmente rifiutata. “Sto bene alla Fiom, voglio continuare a fare il sindacalista”.
Quel che disse quindici mesi fa a Nichi Vendola oggi non è più così certo e infatti non lo ripete più. Esplosa la bolla Tsipras, ridotta al lumicino la forza vitale del pensiero anche pallidamente di sinistra oramai senza più diritto di abitazione nella nuova casa renziana, marginalizzati e ininfluenti i movimenti tipici della cittadinanza attiva (da Libertà e Giustizia ai comitati per l’acqua pubblica, ai gruppi più politicizzati dell’elettorato grillino), Landini si trova all’orizzonte un deserto di sigle ma un tesoro di virtù possibili. C’è una unione di bandiere: i comunisti di Rifondazione, quelli più socialdemocratici di Vendola, i verdi che fanno capo al gruppo dirigente di Legambiente, e poi movimenti e microcosmi: dei giuristi, degli attivisti dei beni comuni, pulviscoli di quella che fu la variegata identità della sinistra storica. Cercano un leader e offrono a lui lo scettro del comando. Lui adesso è il personaggio popolare, metà tribuno e metà ideologo, non un arnese scaduto ma un tronista virale della televisione, un eccellente comunicatore, un acchiappapopolo. “A noi piace tantissimo, la stima e la fiducia in lui sono intatte. E’ una grande risorsa e ovunque voglia spendersi non farà che bene”, dice Nicola Fratoianni, che deve far fronte al periodo più difficile della vita di Sel da quando il bagliore della narrazione vendoliana è andato spegnendosi. Per curioso che possa apparire, il diserbante usato da Renzi nel suo partito, l’azione così travolgente e così politicamente erratica delle sue mosse, il comando a colpi di decreti, la vicinanza strategica con il duo Berlusconi-Verdini, fa avanzare nel corpo vivo di quel che è rimasto del Pd un popolo di infedeli. Che è più vasto della rappresentanza parlamentare a cui è intestata la guida della cosiddetta minoranza. Di defezioni alle viste se ne contano poche, e forse neanche a coprire le dita di una sola mano. Questo moto ondoso che lascia la costa non ha eroi da seguire. “Qualcosa dovremo pur fare”, dice Pippo Civati. Qualcosa dovrà fare. NON C’ERA CIVATI quando a Landini è stato chiesto di guidare un’operazione politica così rock, sempre ai confini tra l’innovazione e la conservazione. E Landini proprio ora che ha ritrovato una unità d’azione con la Camusso, segretaria che ha persino invocato il codice di disciplina per ridurre le ambizioni e l’autonomia di questo cinquantenne emiliano, non ha che la voglia di intestarsi la prova di forza della piazza, che sarà una prova in vita del sindacato, quando manifesterà il 25 ottobre contro Renzi. I conti ora sembrano tornare dopo che proprio Landini ha lasciato che Renzi usasse il suo nome contro il sindacato, contro la Cgil. Tra gli alleati a sorpresa, i volti coperti del new deal fiorentino, quello del segretario della Fiom risultava congeniale. Fuori dalla troika sindacale, lontano da ogni responsabilità delle “malefatte” dei compagni, con un passo così controcorrente e utile a dimostrare che in Italia il nuovo è ovunque, anche a sinistra. Furbo Renzi a intestarsi l’amicizia e furbo Landini a lasciargliela intestare. Amici per poco, perchè poi le strade si sono divise. E ogni passo in avanti che oggi Renzi fa, ogni spavalderia che compie, ogni atto col quale compiace un ceto sociale che a destra non è più rappresentato e si ritrova nelle sue parole e nei suoi simboli, corrisponde a un passo in avanti che Landini compie, per adesso sottotraccia, per raccogliere ciò che il premier butta al vento: casacche, movimenti, idee e anche nostalgie.
Da Il Fatto Quotidiano del 12/10/2014.
L’ha ribloggato su Per la Sinistra Unitae ha commentato:
Il fatto quotidiano di Nadia Campini
“Landini si trova all’orizzonte un deserto di sigle ma un tesoro di virtù possibili. C’è una unione di bandiere: i comunisti di Rifondazione, quelli più socialdemocratici di Vendola, i verdi che fanno capo al gruppo dirigente di Legambiente, e poi movimenti e microcosmi: dei giuristi, degli attivisti dei beni comuni, pulviscoli di quella che fu la variegata identità della sinistra storica”.
Spero che il sogno si realizzi; presto!