APPENA INSEDIATO IL PREMIER E IL SUO MINISTRO SI VANTAVANO DI BASARE LE LORO SCELTE SU PREVISIONI ECONOMICHE “SERIE E RIGOROSE”. CHE PERÒ ORA, ALLA VIGILIA DELLA LEGGE DI STABILITÀ, SONO COSTRETTI A SMENTIRE. E LA SITUAZIONE CONTINUA A PEGGIORARE.
Il 22 febbraio 2014 entra in carica il governo guidato da Matteo Renzi. L’8 aprile il Consiglio dei ministri approva il relativo decreto-legge e il Documento di economia e finanza, che prevede un incremento del Pil dello 0,8 per cento nell’anno in corso (il governo Letta aveva previsto l’1 per cento) e dell’1,3 per cento nel 2015. Nonostante la crescita, si prevede anche un aumento del tasso di disoccupazione al 12,8 per cento. In conferenza stampa il premier afferma: “Questo è un documento molto serio e molto rigoroso. Credo che dobbiamo alla storia anche personale di Padoan il rispetto che si deve a previsioni che io ho definito rigorose, lui mi ha corretto con serie”. Cinque settimane dopo, 16 maggio, l’Istat comunica che nel primo trimestre dell’anno il Pil italiano è tornato a scendere, anche se di un marginale -0,1 per cento rispetto al trimestre precedente, ma del -0,5 su base annua, vanificando le aspettative su una ripresa ormai imminente.
“Non mi faccio facili illusioni quando il Pil è +0,1 per cento, non mi deprimo quando, come oggi, è -0,1 per cento. Valuteremo con grande attenzione i dati Istat che sicuramente non ci fanno piacere”, ha commentato il premier Matteo Renzi, che si è in ogni caso dichiarato “molto fiducioso, ottimista” perché “i numeri sono molto incoraggianti”. A CONFERMA di quanto dichiarato dal presidente del Consiglio l’8 aprile sulle previsioni rigorose e i numeri seri, sfuma definitivamente l’incremento del Pil del +0,8 per cento previsto dal Def per il 2014 e, a fortiori, la speranza di una smentita in positivo. Secondo l’Istat la crescita sarà dello 0 per cento. È diminuita anche l’inflazione, perché i consumi non sono cresciuti nonostante il bonus di 80 euro stanziato dal governo. Bankitalia e Confindustria valutano che l’effetto espansivo è stato praticamente nullo (+0,2 per cento sui consumi, +0,1 per cento sul Pil nel biennio 2014-2015) e confermano i dati Istat sulla stagnazione. Tuttavia prevedono, tanto per cambiare, che in futuro il Pil crescerà anche più di quanto precedentemente previsto, questa volta dell’1,3 per cento nel 2015, contro l’1 per cento stimato a gennaio. Il 30 giugno l’Istat conferma che il Pil nel primo trimestre 2014 è diminuito dello 0,1 per cento rispetto al periodo precedente e dello 0,5 per cento su base annua. L’economia è tornata a scendere dopo il +0,1 per cento congiunturale dell’ultimo trimestre 2013. Il tasso di disoccupazione a maggio raggiunge il 12,6 per cento, con un aumento di 0,1 punti percentuali rispetto ad aprile e di 0,5 punti nei dodici mesi. Non riuscendo i governi in nessun modo a far ripartire la crescita, l’istituto di statistica dell’Unione europea ha elaborato una revisione del sistema di calcolo del Pil (Sec 2010) introducendo tra le attività che concorrono a definirne l’ammontare: i servizi della prostituzione, il contrabbando di alcol e tabacco, il traffico di droga. Su questa revisione Matteo Renzi fonda la speranza di una ripartenza col botto dopo le vacanze estive. Invano il 23 giugno l’ufficio studi di Bankitalia aveva provato a frenare gli entusiasmi prevedendo che il ricalcolo “avrà di sicuro un effetto sui livelli assoluti del Pil, ma non sul tasso di variazione. La dinamica congiunturale resta quella”. Il 6 agosto l’Istat comunica che nel secondo trimestre il prodotto interno lordo italiano è calato dello 0,2 per cento. Poiché nel primo trimestre la diminuzione era stata dello 0,1 per cento, l’Italia è di nuovo in recessione, dopo esserne uscita solo alla fine del 2013. La variazione del Pil acquisita per il 2014, cioè quella che si avrebbe se fino a fine anno non ci fossero variazioni, è pari al -0,3 per cento e costituisce il livello più basso registrato negli ultimi 14 anni. LE SUCCESSIVE SMENTITE delle sue previsioni rigorose inducono il ministro Padoan a dire: “Il Pil non basta più, il benessere dei cittadini ha più dimensioni”. Il guaio è che la diminuzione del Pil farà salire il rapporto deficit/Pil a un livello più alto rispetto al 2,6 per cento che il governo aveva inserito cinque mesi prima nel Documento di economia e finanza. Quindi non sarà possibile aumentare il debito per sostenere la crescita. A complicare le cose ci si mette anche la deflazione. Alla fine d’agosto l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat segna un calo dello 0,1 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Gli 80 euro in più nelle buste paga non sono serviti a rilanciare la domanda, ma l’evidenza nonimpedisce al premier di sostenere che gli effetti espansivi si vedranno in futuro. A metà settembre l’Istat presenta i valori del Pil degli anni precedenti, ricalcolati col nuovo sistema che include le attività illegali. E, finalmente, senza che sia cambiato nulla nell’economia reale, il Pil cresce. Nel 2011 risulta di 1.638,9 e non di 1.579,9 miliardi di euro come precedentemente indicato, con un incremento di 59 miliardi, pari al 3,7 per cento. Ma il rapporto deficit/Pil è migliorato molto meno delle aspettative: solo di 0,2 punti, dal 3,7 al 3,5 per cento. Tornando alla dura realtà del presente, le previsioni dell’Ocse valutano che il Pil italiano nel 2014 farà registrare una flessione più alta del previsto, raggiungendo il -0,4 per cento, invece del +0,5 per cento che aveva previsto a maggio e del +0,8 per cento previsto dai calcoli seri del governo. DI RITORNO DAL G20 in Australia, il 24 settembre il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan dice in un’intervista: “Per definizione una crescita nominale così bassa, data da crescita reale negativa e inflazione molto bassa, è un problema in più per la dinamica del debito”. A settembre i prezzi al consumo si riducono di un ulteriore 0,1 per cento. Il governo rivede le stime di crescita dell’economia: dal +0,8 al -0,3 per cento nel 2014, ma, tranquilli, nel 2015 risalirà, un po’ meno del previsto, ma risalirà: dello 0,6 anziché dell’1,3 per cento. Il rapporto tra deficit e Pil sarà al 3 per cento nel 2014, la soglia limite prevista dagli accordi europei, e al 2,9 per cento nel 2015.
Da Il Fatto Quotidiano del 14/10/2014.
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