Il mancato saluto a Francesco dopo lo scontro su gay e divorziati La beatificazione di Paolo VI “Seppe cogliere il segno dei tempi”.
CITTÀ DEL VATICANO .
«Dio non ha paura delle novità!». Bisogna anzi «scrutare attentamente i segni dei tempi». Come Paolo VI, «il grande timoniere del Concilio Vaticano II». È noto quanto Jorge Mario Bergoglio ammiri la figura di Giovanni Battista Montini, di cui spesso torna a leggere le biografie che apprezza di più, addirittura consigliandole ai suoi sacerdoti. E con la messa di ieri che ha portato all’onore degli altari il nuovo beato, autore dell’enciclica “Humanae Vitae” causa di polemiche infinite sulla contraccezione, Francesco ha concluso il Sinodo sulla Famiglia, che proprio sui temi della comunione ai divorziati risposati e dell’accoglienza ai gay ha diviso la Chiesa in due fronti.
Nella celebrazione di chiusura per questo mini Concilio capace di attirare media da tutto il mondo come per un Conclave, il pontefice argentino ha richiamato la sua istituzione al «coraggio», e alle «innumerevole sfide nuove» poste dalla società. E a conclusione di un’assemblea che, pur avendo cancellato dal documento finale le aperture in tema di coppie gay, si è spaccata sulle questioni più controverse, Bergoglio — alla presenza in piazza San Pietro anche del suo predecessore Benedetto XVI — ha invitato sull’esempio di Montini ad affrontare le «mutate condizioni della società».
Mai fermarsi, ha piuttosto intimato Francesco. Mai sedersi su quanto già esiste. Mai avere paura delle «sorprese» di Dio, un’immagine, questa, costante nei suoi riferimenti. Il Sinodo è stato «una grande esperienza nella quale abbiamo vissuto la collegialità». «Abbiamo seminato — ha continuato il Papa — e continueremo a seminare con pazienza e perseveranza» verso il Sinodo ordinario del 2015. Dopo il quale il Pontefice farà i suoi discernimenti. Cioè, le sue scelte nelle materie così animatamente discusse nelle due scorse settimane.
La sua Chiesa non ha avuto paura di mettersi in gioco, dividendosi anzi in maniera plateale, pubblica, con tanto di documenti diffusi dalle fotocopiatrici vaticane impostate a pieno regime. Dando così tanto ai fedeli quanto ai non credenti l’immagine di un’istituzione sacra rinnovata, capace di affrontare — senza remore — temi finora impensabili. Dove il confronto, uscendo da un immobilismo di cui spesso è stata accusata, è risultato franco e libero.
L’ala dogmatica è infine riuscita a far togliere dal testo finale quelle che sono state giudicate come fughe in avanti, ad esempio sulle coppie omosessuali. Ma su questo tema e su quello dell’ostia ai risposati la divisione si è comunque assestata su un 60% circa a favore del testo e un 40% contrario.
Così la tensione in aula è sembrata ieri trasferirsi in piazza, dove, al termine della messa, Francesco ha ricevuto l’abbraccio di tutti i cardinali concelebranti, eccetto che da Gerhard Ludwig Müller e da Raymond Leo Burke, i due capofila dei conservatori, i quali non sono andati a salutarlo. Il porporato americano, anzi, noto per le interpretazioni rigoriste della dottrina cattolica (come del resto il suo collega tedesco, che ha il ruolo di prefetto della Dottrina della fede), ha confermato in una breve intervista al National Catholic Reporter la sua prossima rimozione da giudice capo della Segnatura Apostolica, il supremo Tribunale vaticano.
A essere invece «non deluso dall’esito del Sinodo» è il cardinale tedesco Walter Kasper, teologo e principale promotore della tesi sul “sì” alla comunione ai divorziati risposati. «Penso che ci sia stata una discussione libera, aperta, realistica — ha detto all’agenzia Ansa — è un dibattito che si è aperto, adesso si andrà al prossimo anno. C’è una discussione che si è avviata, e questo è un aspetto positivo». I suoi colleghi africani, rivela però una fonte, erano nei giorni scorsi «i più scatenati contro di lui in aula», dopo alcune sue dichiarazioni, smentite ma udibili su nastro, in cui Kasper osservava che «i Paesi asiatici e musulmani sono molto diversi, soprattutto sulla questione dei gay. Non si può parlare di questo con gli africani o con la gente dei Paesi musulmani. Non è possibile. È un tabù».
Da La Repubblica del 20/10/2014.
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