Nel 2014 aggrapparsi ad una norma del 1970 che la sinistra di allora non votò è come prendere un I-phone e dire ‘dove metto il gettone del telefono?’ O prendere una macchina digitale e metterci il rullino”. La Leopolda stracolma si produce in risate e applausi scroscianti quando Matteo Renzi, sul palco, pronuncia la frase clou. Cravatta da presidente del Consiglio, camicia bianca e jeans da rottamatore, nel suo intervento finale il premier fa un comizio sul lavoro in diretta tv, senza controprogrammazione di piazza, e asfalta in una volta sola Cgil e minoranza. Anzi, sfida la sinistra del partito, la invita alla scissione: “Se le manifestazioni che abbiamo visto in questi giorni sono politiche, io le rispetto e non ho paura che si crei a sinistra qualcosa di diverso. Sarà bello capire se è più di sinistra restare aggrappati alla nostalgia o se è più di sinistra prevedere il futuro, innovare, cambiare. Staremo e vedere, decideranno i cittadini qual è la sinistra capace di vincere”.
Quando Renzi sale sul palco della Leopolda, quello che c’è stato prima, la serata inaugurale con l’invito del premier a lasciarsi alle spalle il “come eravamo”, la giornata di sabato, tra tavoli di rappresentanza e toni soft, sembra solo una preparazione. Prima di lui c’è la passerella dei ministri. La Leopolda di governo va in scena secondo una scaletta preparata nei dettagli. Sale sul palco quel che sarà il partito della nazione: Gennaro Migliore, ex Sel appena iscritto al Pd e Andrea Romano (Sc ancora per poco) che scandisce “La nazione siamo noi”. POI LA SFILATA. Comincia Franceschini, segue Mogherini. Il ministro del Lavoro Poletti viene qui a chiarire: “Il cuore della riforma che è il contratto a tutele crescenti per noi è il perno”. Prima dell’intervento della Boschi i video trasmettono immagini del premio Nobel per la pace, Malala. Stavolta il giubbotto di pelle ce l’ha Maria Elena, alla quale da copione tocca la mozione degli affetti. Voce che sembra rompersi per l’emozione: “È possibile che un avvocato trentenne diventi ministro”. Chiude Roberta Pinotti. E poi, arriva lui. Il piglio è quello da premier. “Mi chiamo Matteo e sono il Presidente”, sembra dire, parafrasando un film americano. Declinandolo: sono il Pd, sono il governo, sono la sinistra. Sono l’Italia. Tono altissimo. Dal palco rivendica il fatto che ci sia un Matteo prima e un Matteo dopo: “Questa è la Leopolda, il luogo è lo stesso ma noi siamo al governo, io, noi, e non è per occupare una sedia, ci tocca cambiare il paese, perché quella bicicletta ce la siamo andati a prendere”. Poi, il leit motiv sulla battaglia europea, ma la guerra stavolta è tutta interna. Se il premier ha lasciato agli avversari ieri qualche prima pagina, a questo punto è deciso a riprendersela con gli interessi. Se qualcunoaveva creduto che i toni bassi potessero preludere a una qualche mediazione, ha sbagliato. Pura tattica. Quando parla del jobs act, si contorce, si piega, gesticola: “Le tutele non possono valere solo per chi lavora in aziende con più di 15 dipendenti, ma per tutti”. E dunque: “Stop a co.co.co e co.co.pro, contratto unico: questa è la sinistra”. E “la maternità è un diritto per tutti”. Il chiarimento: “Noi incentiviamo il contratto a tempo indeterminato”, ma “il posto fisso non c’è più perchè è cambiato il mondo”. Susanna Camusso gli risponde nel tardo pomeriggio: “Il premier non ha argomenti. Se uno pensa che il contratto di lavoro deve essere a tempo indeterminato deve anche avere le rispettive tutele”. Più che un incontro quello di oggi tra governo e sindacati sarà un muro contro muro. Se con i sindacati è deciso, con il Pd di piazza Renzi è feroce: “Non consentiremo a chi ha detto che la Leopolda è imbarazzante (Bindi, ndr) e a quella classe dirigente che ha portato il Pd al 25% di riprendersi il Pd perché possa riportarlo al 25%. Non consentiremo di fare del Pd il partito dei reduci”. Quasi non si sente, con la sala che si entusiasma. Il tempo di una difesa di Napolitano, chiamando l’applauso (“tante menzogne su di lui”) e un siparietto da presentatore (“Se dico diamo 80 euro sono il Giorgio Mastrota de noantri, se parlo complicato divento un intellettuale organico. Dite come volete: noi facciamo un’operazione di giustizia sociale”). Poi conclude. Il grande show della Leopolda è finito, gli oppositori di certo possono stare sereni.
Da Il Fatto Quotidiano del 27/10/2014.
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