LA CAMUSSO VUOLE ASPETTARE DICEMBRE: SPERA CHE LA CRISI AFFONDI IL PREMIER.
La sfida è mortale. Matteo Renzi vuole la Cgil fuori dal terreno di gioco. Susanna Camusso ha una sola vera speranza, che il rottamatore imploda a breve, travolto dagli implacabili numeri della crisi. In subordine, la Cgil può solo cercare di guadagnare tempo per rinviare la resa. Così nella sede romana di Corso Italia è già iniziata la discussione organizzativa sullo sciopero generale che Maurizio Landini della Fiom vuole già a novembre, a costo di farlo solo con i metalmeccanici, e che Camusso vorrebbe rinviare a dicembre. A quel punto le partite di Jobs Act e legge di stabilità saranno già concluse, ma non importa, se Renzi non si schianta sarà in ogni caso una lunga marcia. LO SCARTO tra le illusioni e la realtà Camusso l’ha misurato nelle sole 48 ore che hanno separato la trionfale manifestazione di sabato scorso e lo schiaffone che si è presa lunedì pomeriggio a Palazzo Chigi.
Ecco Camusso 1 nel retropalco di piazza San Giovanni baciare con vivo affetto ed entusiasmo l’irredentista pidino Stefano Fassina che si complimenta: “Mi pare che ha funzionato”. Lei replica sorridente: “Possiamo respirare bene, no?”. Sì, una bella boccata d’ossigeno, la manifestazione contro Renzi è andata meglio delle previsioni degli stessi organizzatori. Ed ecco Camusso 2 che va all’incontro con il governo sulla legge di Stabilità e ne esce con le mascelle serrate. “Lo spirito dell’incontro si potrebbe riassumere in: mandateci una mail”. Altro che email. A stretto giro Renzi, che ha disertato l’incontro con i sindacati, va in tv e scandisce: “I sindacati devono trattare le condizioni dei lavoratori con le imprese, non le leggi con il governo”. In confronto gli arzigogolati distinguo di Mario Monti sulla fine della concertazione erano carezze. E infatti quel governo tecnico non ha pagato dazio, al ministro Elsa Fornero fu consentita una feroce riforma delle pensioni (con tanto di esodati) e il depotenziamento dell’articolo 18 al modico prezzo di uno scioperetto di tre ore “per lavarsi la coscienza”, come rimarcarono i più critici. Polemica antica. Il 16 ottobre 2010, sempre a San Giovanni, Maurizio Landini esordì con il suo primo comizio da segretario della Fiom chiedendo alla Cgil lo sciopero generale, e l’allora leader Guglielmo Epifani lo liquidò ricordandogli che “per i lavoratori lo sciopero è un grande sacrificio”. Adesso Ca-musso è pronta a impugnare per la prima volta l’arma dello sciopero generale soprattutto per dimostrare che Landini non ha il monopolio della lotta dura. MA RENZI stringe il cappio intorno al collo della Cgil, rivendicando che il popolo di sinistra comunque sta con lui, e snocciola risultati elettorali e sondaggi politici che sono l’unica lingua che gli piace parlare. Camusso è costretta ad alzare la posta per tre ragioni. Glielo chiede l’apparato che l’ha espressa quattro anni fa, preoccupato per il proprio futuro. Deve prendere tempo con un conflitto che giustifichi l’esistenza della sua organizzazione. Deve scrollarsi di dosso lo scetticismo di parte del suo stesso mondo. Nessuno parla apertamente, perché questi sono gli usi della casa, ma in molti sanno che i suoi quattro anni di leadership sono stati segnati da tentennamenti e scelte peculiari, come quella di dedicarsi alla guerra contro la Fiom di Landini e ai solenni accordi con la Confindustria di Emma Marcegaglia. Le 48 ore che hanno avvelenato l’umore di Camusso hanno provocato effetti a catena. Carla Cantone, capo dello Spi, il sindacato dei pensionati che con tre milioni di iscritti vale metà dell’organizzazione, sabato scorso ai piedi del palco predicava il dialogo con Renzi: “Non andiamo avanti con il muro contro muro o peggio fare finta di fare il muro contro muro”. Cantone è la stessa che nel 2013, all’indomani del trionfo grillino alle elezioni politiche, accusava Camusso di immobilismo e intimava al sindacato di non “rendersi sordo davanti alla richiesta forte di parole e azioni nuove”. Adesso prende atto della durezza di Renzi e si schiera con il segretario generale: “Se il governo non vuole dialogare io sono per combattere, io sono una combattente”. MA È UNA LOTTA contro il tempo. Renzi vuole certificare l’irrilevanza del sindacato, Ca-musso deve rinviare il momento in cui la provocazione del premier diventi nozione comune. È una marcia in salita. Per la prima volta nella sua storia la Cgil non è più affiancata a un grande partito politico, con una conseguenza terrificante. Migliaia di quadri sindacali sparsi per la penisola non vedono più un orizzonte politico per le proprie ambizioni personali, quelle che hanno portato finora dal sindacato al Parlamento, a un consiglio regionale, a una poltrona di sindaco. Così si diffonde anche dentro la Cgil, spontanea e inarrestabile, quella voglia di renzismo che rende tutto più difficile per Camusso.
Da Il Fatto Quotidiano del 29/10/2014.
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