IL PD ELEGGE ALLA CORTE SILVANA SCIARRA CON I VOTI DEI GRILLINI, CHE IN CAMBIO OTTENGONO ZACCARIA AL CSM. IL PREMIER: “IL PATTO DEL NAZARENO SCRICCHIOLA”.
Il patto del Nazareno scricchiola. Altro che se scricchiola…”. Parola di Matteo Renzi, che risponde così a chi glielo chiede ieri all’assemblea dell’Anci a Milano. Una dichiarazione significativa, che arriva dopo due fatti: il parziale fallimento del vertice con Berlusconi di mercoledì, con il leader di Forza Italia che ha preso tempo sulla legge elettorale e l’elezione ieri della candidato Pd alla Consulta, con i voti dei Cinque Stelle. Una constatazione di fatto, ma soprattutto “una minaccia”, come ammettono i suoi: per fare pressioni su B. e sul suo partito, ventilando la possibilità di molteplici piani alternativi. Da accordi mirati con i Cinque Stelle (sulla legge elettorale, ma anche sul Quirinale) al voto anticipato. IERI, intanto, arriva il colpo di scena: alla 21esima votazione e dopo 20 fumate nere, il Parlamento riunito elegge uno dei due giudici della Consulta mancanti.
Si tratta di Silvana Sciarra, professore ordinario di Diritto del lavoro nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Firenze. Per una che insegna nella città del premier è stato tutto molto facile e veloce. Con buona pace di Luciano Violante. Mentre non passa Stefania Bariatti, giurista, candidata di FI. Determinanti i voti dei Cinque Stelle, che hanno scelto di entrare in gioco e di sostenere il candidato dem. E determinante, per l’affossamento della prescelta azzurra, la fronda interna. I votanti sono stati 748, cento in meno della scorsa volta. La Sciarra è stata eletta giudice costituzionale con 630 voti, incassando sessanta voti in più dei 570 richiesti. Bariatti si ferma a 493. Per Sciarra, su cui si era trovato l’accordo fra Pd e 5 Stelle, era arrivato l’ok del blog di Beppe Grillo. Eletto membro laico del Csm pure Alessio Zaccaria, indicato dal M5S: ottiene 537 voti, 88 in più dei 449 richiesti. Il segnale politico che arriva dal voto di ieri va letto insieme allo stop subito dall’accordo sulla legge elettorale, tra Renzi e Berlusconi. Non si è trovato l’accordo sul numero di candidati bloccati in lista: l’ex Cavaliere ne vorrebbe molti di più di quanti l’altro è disposto a concedere. Il leader di Fi ha preso tempo e ieri Maria Elena Boschi ha ribadito: “Mi auguro che FI mantenga l’impegno, ma se si dovesse tirare indietro noi non possiamo non andare avanti: al Paese serve governabilità”. Anche questa, una minaccia in piena regola a un partito diviso e lacerato al suo interno. E una minaccia che prende ancora più forza dall’esito del voto sulla Consulta. Dice David Ermini, responsabile Giustizia del Pd: “Quando le forze politiche lavorano tutte insieme per il bene delle istituzioni i risultati si vedono. Questo è di buon auspicio anche per ultimo membro mancante”. La linea ufficiale dice che bisogna cercare accordi con tutti. La realtà, per come la vedono davvero in casa Dem, è che un accordo strutturale con i Cinque Stelle è impossibile. Ma che la loro decisione di rientrare in campo serve a mettere pressione a Berlusconi. Non a caso, tra le voci più o meno incontrollate di ieri, circola pure quella secondo la quale un gruppo di renziani avrebbe impallinato la Bariatti, per stringere all’angolo gli azzurri. Lorenzo Guerini, vicesegretario dem, la mette così: “Finalmente il M5S ha capito che nelle elezioni riguardanti organi costituzionali, che richiedono maggioranze qualificate, è necessario il reciproco riconoscimento. Il Pd contemporaneamenteè disponibile a continuare il confronto per raggiungere il risultato di soluzioni condivise”. L’ASSE con Forza Italia, sia per la legge elettorale, che per le riforme costituzionali, al di là delle minacce e della drammatizzazione del conflitto tra Silvio e Matteo dell’altroieri, resta quello privilegiato. Anche perché il soccorso azzurro è necessario al premier su tutto, per andare avanti con il governo. E poi, davvero FI può permettersi di rompere tutto? “Alla fine, Berlusconi cederà, perché è troppo bollito”, è la convinzione comune. Ce n’è però pure un’altra: “Certo il difficile è capire chi gliela vota a Renzi una legge che ci porta diritti al voto a primavera”. Lui continua a dire ufficialmente: “Non voglio il voto pure se mi converrebbe”. Ma il piano urne è sempre lì, pronto a scattare all’occorrenza: per esempio, se la minoranza Pd dovesse provocare l’incidente sul jobs act o sulla legge di stabilità. O su qualcos’altro. Nella manovra ci sono alcune misure palesemente elettorali, come l’anticipo del Tfr. E che la ditta potrebbe decidere che è meglio conquistarsi una bel posto al sole tanto marginale quanto visibile, piuttosto che farsi uccidere definitivamente da Renzi, è un ragionamento che va avanti. A sostegno del voto anticipato c’è chi racconta che il ministero dell’Interno avrebbe già comprato partite di matite e carta copiativa. Materiali che servono per le elezioni. Certo, in primavera ci sono le Regionali. Ma il sospetto è lecito.
Da Il Fatto Quotidiano del 07/11/2014.
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