IN UNA delle immagini, genitori si accalcano all’ingresso della scuola, attorno a dei fogli alla parete,come farebbero per sapere se i figli siano stati promossi: ma cercano i nomi pregando di non trovarli in quella lista di morti. «Abbiamo scelto con cura il nostro obiettivo», ha spiegato il portavoce degli assassini, e non c’è dubbio che l’abbiano fatto.
Scolari che muoiono assassinati: non si può immaginare sacrilegio peggiore, né bersaglio più capace di illustrare gli assassini. Da noi i filmati offuscavano, con una correttezza questa volta stridente, le facce dei minori: grandi abbastanza per guadagnarsi un colpo alla nuca. Ieri le autorità del mondo intero hanno dovuto cercare le parole, e non potevano trovarle, nonostante il rincaro. «Uno dei giorni più bui del genere umano », ha detto l’indiano Kailash Sathiarty, che ha condiviso con Malala il Nobel.
Hollande ha condannato col superlativo di un superlativo: «La più estrema fermezza…». Perfino gli assassini hanno voluto simulare un’attenuazione della loro orrenda impresa: fra quegli scolari, hanno detto, c’erano i figli di alti ufficiali (la maggioranza degli alunni era comunque civile), e per di più agli esecutori era stato ordinato di risparmiare i più piccoli – censendoli per età? per altezza?…
Agli occhi degli analisti, e magari degli stessi assassini, la strage voleva colpire l’esercito pakistano, vendicare l’offensiva nel nord Waziristan, intimidire il governo, far salire i suoi autori nella classifica dei veri jihadisti. E gli scolari e i loro poveri maestri sarebbero stati gli ostaggi di queste magnanime cause. Non è così. Non si spiega così l’assalto che, nella stessa provincia di cui Peshawar è capitale, ha portato alla chiusura di centinaia — un migliaio, secondo alcune fonti — di scuole pubbliche, colpevoli di accogliere bambine e ragazze, e di insegnare cose diverse dalla Sharia. È indelebile nella memoria l’orrore di Beslan, che segnò il precipizio senza ritorno della resistenza cecena, e sparpagliò i suoi superstiti nei paradisi delle decapitazioni: ma a Beslan bambini e insegnanti furono ostaggi di una sfida mutuamente cinica e feroce, non bersaglio premeditato di una strage. Ieri, gli assassini si sono impadroniti della scuola per uccidere il maggior numero di bambini, ragazzi e maestri, e immolarsi gloriosamente. Può darsi che abbiano ignorato il Nobel appena consegnato a Oslo, ma la loro ferocia di grossisti è dello stesso stampo che fece infierire contro la ragazza Malala, e ha gli stessi autori. A Beslan, gli scolari e le loro maestre erano ostaggio di una contesa che aveva ancora un’altra posta. Ieri qualcuno avvertiva come negli stessi Stati Uniti non siano rare le sparatorie nelle scuole: orrende, ma sono un modo per saziare a mano armata vanità e frustrazione, magari di coetanei che si prendono per misconosciuti. A Peshawar gli scolari trucidati sono un mezzo di propaganda e intimidazione, ma sono al tempo stesso la posta della guerra talebana. Divisi fra famiglie tribali e affiliazioni terroriste, i Taliban mirano comunque a una società in cui l’istruzione sia messa al bando, e quella delle bambine soprattutto. Ci riuscirono già, quando le tortuose e losche peripezie del grande gioco misero l’Afganistan nelle loro mani, e scuole e canzoni e suonar di passi femminili sul selciato diventarono un peccato punito con le frustate e la morte: e là vogliono tornare. A questo traguardo non riconoscono frontiere, e il jihadismo pashtun passa a turno dall’Afghanistan al Pakistan, da al Qaeda all’Is, diviso ferocemente fra le sue fazioni, comunque unito nell’odio per la libertà civile, di cui le scuole sono il nido. Corruzione e violenza dei governi, degli eserciti, dei servizi di intelligenza e di provocazione, come in Pakistan, uno Stato senza diritto e con l’atomica, non sono un’attenuante per quell’odio. E varrà la pena di ricordare un’ennesima volta che i nemici delle bambine e delle scuole sono un’internazionale, intollerante di ogni libertà religiosa e di pensiero, pronta a bruciare vivi due ragazzi cristiani o a condannare a morte una ragazza che si rifiuta di abiurare, ma altrettanto accanita contro musulmani. Erano musulmani i 145 ammazzati, della scuola di Peshawar, lo sono i 200 feriti. E’ musulmana Malala. Sono musulmani, a decine, insegnanti i più, gli assassinati perché eseguono la vaccinazione contro la poliomielite, su mandato Taliban.
Scuole e moschee sono bersagli prediletti. Tre settimane fa, l’attentato suicida alla moschea di Kano, la prima città della Nigeria del nord, aveva fatto lo stesso numero di vittime della scuola di Peshawar, in odio a un emiro, Sanusi Lamido Sanusi, già governatore della banca centrale nigeriana inviso al governo per la sua indipendenza, e autore di un appello alla popolazione del nordest nigeriano a prendere le armi per opporsi a Boko Haram, contro la viltà della forza pubblica. Il 10 novembre scorso, a Potiskum, nello stato di Yobe, Nigeria del nord, un attentato suicida ha fatto almeno 50 morti fra gli alunni musulmani all’inizio delle lezioni. Pochi giorni prima era toccato all’università di Kano. E così, lungo una scia di violenze cui la nostra informazione stenta a tener dietro, e un po’ ne ha paura. Peccato, perché quando dal Pakistan alla Nigeria (hanno molto in comune, questi due Stati giganteschi e invalidi), dallo Yemen al califfato, si denuncia l’istruzione, la scuola aperta a tutti, la libertà delle bambine, come il peccato dell’Occidente, si fa all’occidente, difettoso com’è, con la sua brava minuscola, il più prezioso dei riconoscimenti. Ah, saperlo meritare.
Da La Repubblica del 17/12/2014.
[…] Piccoli martiri della cultura (ADRIANO SOFRI). | Triskel182. […]
avrei voluto commentare, ma non ci sono parole…