Il primo settembre mi dimetterò dal Parlamento, da questo Parlamento: ho già informato il presidente della Repubblica”. Enrico Letta scandisce l’addio che fa rima con strappo in prima serata, durante Che tempo che fa su Rai Tre. “Andrò a dirigere la scuola di affari internazionali Sciences Po di Parigi, vivrò del mio lavoro” spiega con calcolata misura a un Fabio Fazio sorpreso, quanto contento di commentare: “Questa è una notizia”. E di certo fa rumore, il Letta che annuncia “le dimissioni da questo Parlamento ma non dalla politica”, come a rimarcare che non lascia il gioco.
Lui per ora saluta il teatro del tradimento, dove Renzi ha preso il potere dopo che il Pd gli voltò le spalle: con buona pace degli “Enrico stai sereno” twittati in abbondanza ai tempi. Le parole dell’ex premier sono un riflettore sul suo libro fresco di stampa, Andare insieme, andare lontano, da domani in libreria. Ma anche un piccolo ordigno lanciato a pochi giorni del voto finale sull’Italicum, legge elettorale renzianissima che a Letta proprio non piace. “Spero in un’intesa, le riforme vanno fatte con maggioranze ampie; quelle fatte con numeri strettissimi come il Porcellum non funzionano” a f f e rma . E allora non è casuale, forse, che l’ex presidente del Consiglio dia l’addio (o arrivederci) a Montecitorio proprio quando il rottamatore prova a varcare il Rubicone della legge elettorale, con annessa rottura con la minoranza dem e rischio concreto di scissione. Letta assicura di non auspicare separazioni: “Sarebbe un errore, per tutti. E io non ho mai di uscire dal Pd, sono tra i fondatori di questo progetto”. Però su Italicum e riforme la pensa proprio come gli insorti (tra cui c’è anche un suo fedelissimo come Francesco Boccia), e lo ripete più volte: “La legge elettorale e le riforme istituzionali sono materie su cui deve essere protagonista il Parlamento; il governo dovrebbe accompagnarle, non imporsi”. Fazio ci prova: “Ma se Renzi mettesse la fiducia sulla legge elettorale la voterebbe?”. E Letta butta la palla in tribuna: “Non so, vedremo”. Per tutto il colloquio ripete che “non è animato da spirito di rivincita”. Ma nel suo libro che definisce “e u r o p e ista, perché noi abbiamo bisogno di più Europa”, si sofferma sulla differenza tra “governare e comandare”, con una trasparente critica all’uomo solo al comando, ossia Renzi. AL ROTTAMATORE nei giorni scorsi ha già piazzato uno sgarbo mica da ridere: “La mia scelta di dimettermi da deputato l’ho spiegata al presidente della Repubblica, sono uscito rinfrancato da quell’incontro. Con Renzi invece non avevo ancora parlato, ma ne parleremo: i nostri rapporti sono sereni…”. La gente in studio ride, Letta nasconde a malapena un ghigno. Di frecciate gelide al premier ne dissemina altre: “La fine del mio governo? È stata inaspettata, penso non solo per me. Ma adesso sono sereno…”. E poi, giocando con i paragoni: “Il mio è un libro sulle politiche, io detesto la serie tv House of Cards e quel tipo di politica che racconta, fatta tutta di intrighi”. Renzi invece la adora, lo sanno tutti. Fazio lo fa notare, e Letta mente con volto da cherubino: “Non lo sapevo, a me non piace”. Il conduttore insiste: “Ha mai incontrato qualcuno come Frank Underwood (il politico protagonista dell’opera, ndr)?”. E lui: “No, non penso che ce ne siano di così”. Punge senza esagerare, l’ex premier che pronostica comunque lunga vita al governo: “Durerà fino al 2018, ci vuole tempo per le riforme”. Lui, il nipote di Gianni Letta, l’ex enfant prodige della politica italiana, ripartirà dal suo prossimo futuro futuro: “Ho 48 anni, non prenderò nessuna pensione da deputato. Dopo 13 anni in Parlamento e tanti incarichi ho deciso di ricominciare da tre parole, libro, scuola e lavoro. Aprirò una scuola di ‘politiche’ a Roma per giovani tra i 19 e i 25 anni e sarò il rettore della scuola di affari internazionali a Sciences Po a Parigi. È’ importantissimo avere un mestiere, penso sarà interessante e utile”. Letta saluta e se ne va. Con l’aria di chi sa aspettare, e aspetterà.
Da Il Fatto Quotidiano del 20/04/2015.
Rispondi