Il clima.
La decisione del G7 è un primo passo contro l’effetto serra. Per gli scienziati, però, non è ancora abbastanza
L’impazzimento meteo si supera con l’addio a una torta da 28 mila miliardi di dollari.
PARIGI non sarà un flop come Copenaghen, ma, per gli applausi è meglio aspettare. Rispetto a sei anni fa, quando, nella capitale danese la conferenza sul clima finì in un nulla di fatto, il negoziato in programma per dicembre in Francia ha intorno un mondo che, sul riscaldamento globale, ha cambiato completamente prospettiva. Hanno cominciato Usa e Cina — i due grandi frenatori di Copenaghen — a prendere impegni precisi di riduzione delle emissioni di CO 2 . Dal Papa allagrande finanza, tutti parlano di disinvestimento dai combustibili fossili: una grande banca come Hsbc ha un apposito pacchetto di proposte per i clienti. Una buona fetta dei grandi petrolieri (Total, Shell, Bp, Eni) reclama una tassa sulle emissioni o misure analoghe per frenare l’effetto serra. Finanche i re dell’oro nero, gli sceicchi sauditi si dichiarano pronti all’era del solare. E i grandi della Terra, riuniti nel G7 indicano che l’obiettivo è impedire che la temperatura globale superi i 2 gradi e si impegnano a ridurre le emissioni vicino al 70 per cento entro il 2050.
Dunque, ci siamo: sull’orlo dell’abisso, il mondo si è fermato e ha scongiurato la prospettiva di un pianeta inabitabile?
La risposta è no. C’è in giro una diversa sensibilità, una nuova consapevolezza, una inedita urgenza nelle mosse dei politici. Usa e Europa sono riusciti a superare le resistenze di Canada e Giappone. Ma la virata è solo iniziata. Gli impegni presi finora da Usa, Cina, Ue non bastano a centrare l’obiettivo dei 2 gradi, oltre i quali il clima, dicono gli scienziati, impazzirebbe. La valutazione è di lord Nicholas Stern, uno dei massimi esperti internazionali sul clima. Di questo passo, arriveremmo oltre i 3 gradi nel 2100. Secondo Climate Action Tracker, gli impegni attuali costituiscono solo il 5 per cento di quello che sarebbe necessario già subito, entro il 2020. E, in realtà, nel 2030, invece di ridurre, staremmo più o meno come adesso. Perché, per diminuire le emissioni nel 2050, bisogna cominciare subito, anzi, è già tardi. E senza barare: Obama, la Merkel e gli altri G7, quando annunciano un impegno a ridurre le emissioni del 60-70 per cento, rispetto a quelle registrate nel 2010, sanno benissimo che, secondo gli scienziati, per centrare l’obiettivo dei 2 gradi, la riduzione deve essere, invece, più alta (l’80 per cento) e rispetto ai livelli di emissione del 1990, più bassi di quelli del 2010, dunque più severa.
Anche le buone intenzioni, comunque, contano. E, in politica, costano anche. Soprattutto, se alle parole si vogliono far seguire i fatti ed evitare contraddizioni come il via libera di Renzi alle trivellazioni in Adriatico e di Obama nell’Artico. Perché, rispetto a Copenaghen, molte cose sono più chiare: a cominciare dalla posta in gioco e dagli interessi in ballo. Questa non è una storia da anime belle preoccupate per il destino delle cinciallegre e di vetri termici alle finestre per ridurre il riscaldamento. Se si vuole, si può anche azzardare una cifra: 28 mila miliardi di dollari, quasi quanto il prodotto annuale di tutti i G7. Sono le riserve di gas, petrolio, carbone in portafoglio — secondo gli analisti di Kepler Cheuvreux — ai grandi dell’energia, da Exxon in giù. La vera partita che sarà giocata a Parigi è cosa fare di queste riserve. Se non possono essere contate, il valore di Big Oil in Borsa sarà devastato e decimato. Ma, secondo una recente ricerca pubblicata su Nature , l’80 per cento delle riserve di carbone, metà di quelle di gas, un terzo del petrolio deve restare per sempre sotto terra: usarle significa sfondare il muro dei 2 gradi. Di conseguenza, bisognerebbe fare come se non esistessero.
Quando Bp, Eni, Total, Shell sollecitano una tassa sulle emissioni puntano a salvare le riserve, pur accettando di pagare un costo maggiore. Ma, oltre Atlantico, Exxon e Chevron hanno trattato i loro colleghi europei da traditori e menagramo e fatto capire che sono pronti ad una resistenza ad oltranza. Prepariamoci ad uno scontro epocale sul futuro dei combustibili fossili. Se non ci sarà, Parigi sarà servita a poco. Se ci sarà, i politici dovranno dimostrare più coraggio di quello mostrato finora. Obama ancor più degli altri. È difficile pensare che il Congresso a maggioranza repubblicana accetti un trattato stringente, soprattutto contro gli interessi dei petrolieri. Le buone intenzioni, anche qui, però, ci sono: secondo le indiscrezioni, alla Casa Bianca si studia come aggirare il Congresso, varando le misure eventualmente decise a Parigi come atti presidenziali.
Da La Repubblica del 09/06/2015.
[…] Un tetto di due gradi al surriscaldamento ma il mondo deve rinunciare al petrolio (MAURIZIO RICCI) […]