IL FALSO IN BILANCIO E LA NORMA SUL VOTO DI SCAMBIO HANNO GIÀ UCCISO UN PROCESSO A TESTA. ORA TOCCA ALLE ALTRE.
La massima di Otto von Bismark è talmente famosa da essere passata quasi in proverbio: “Meno le persone sanno di come vengono fatte leggi e salsicce, meglio dormono la notte”. Magari per le salsicce è più difficile, ma spesso come sono fatte le leggi lo si scopre anche dagli effetti: l’ultimo caso – svelato ieri da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera – è che la legge sul falso in bilancio di Matteo Renzi, venduta come un’inversione di rotta rispetto ai tempi del Caimano, in realtà è per alcuni aspetti anche peggio di quella di Berlusconi. Grazie a una dimenticanza, diciamo così, riguardante le stime palesemente sballate di alcuni asset (il valore, ad esempio, di magazzini, immobili, ammortamento dei crediti), i fratelli Crespi – tra cui Luigi, ex sondaggista del Cavaliere – sono stati assolti in Cassazione per la bancarotta di Hdc: la nuova legge non comprende più come reato i comportamenti che avevano causato la condanna in secondo grado, dice la Suprema Corte.
Nel lungo iter del nuovo falso in bilancio fu Confindustria – autorevolmente rappresentata al governo dal ministro Federica Guidi, ex vicepresidente – a chiedere “ammorbidimenti” di una legge giudicata anti-imprese: prova ne siano le pene risibili (e la conseguente impossibilità di usare le intercettazioni) per le aziende non quotate in Borsa. Non è l’unico caso di leggi che, spacciate per essere una rivoluzione, alla prova dell’applicazione si rivelano pessime o inutili: quella sul voto di scambio, per dire, è già servita ad annullare la condanna in appello di un politico ex Udc.
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