Oggi si fronteggiano in piazza destra e sinistra. In rimonta lo schieramento a favore di un accordo mentre tra i contrari emergono le divisioni. La Chiesa ortodossa è con Bruxelles.
ATENE . «Il cuore dice no. La testa dice sì». Dimitris Stratopholus, manager di 43 anni, riassume così i dubbi di tutti i greci a due giorni dal referendum decisivo per il futuro del paese e – con buona pace di Wolfgang Schaeuble – di tutta l’Europa. Il governo ha stampato le schede e da oggi lotta contro il tempo per recapitarle nelle isole più lontane dell’Egeo e per organizzare i seggi elettorali. «Ce la faremo – ha detto il ministro dell’Interno Nikos Voutsis – E il voto in nome dell’austerity costerà solo 20 milioni ».
Alexis Tsipras ostenta sicurezza: «Se il no vince bene, lunedì sono a Bruxelles e firmo un’intesa in 48 ore. E le banche riapriranno il giorno dopo», ha garantito in un’intervista tv. Stasera parlerà al popolo di Syriza davanti al Parlamento. Alla stessa ora, qualche centinaio di metri più a est verso il monte Imitto, il fronte del Sì, guidato da Antonis Samaras, si riunirà allo stadio Panathinaikos in un finale di partita al cardiopalma anche per l’ordine pubblico. «L’esercito veglia sulla stabilità della sicurezza nazionale», ha detto sibillino il ministro della Difesa Panos Kammenos.
I sondaggi danno i due fronti testa a testa. I controlli ai capitali, le file ai bancomat e la drammatica crisi di liquidità dell’economia reale hanno aiutato una timida rimonta del sì. I dati della Gpo che davano il cartello pro-euro in vantaggio 47% a 43% circolati mercoledì sera, però, sono stati sconfessati ieri dagli stessi (presunti) autori. «Non sono nostri – ha detto la società che sta lavorando per conto della banca francese Bnp – si tratta di cifre parziali estrapolate da uno studio ancora da concludere ». Le istituzioni nazionali, preoccupate della tensione con cui si arriva alle urne, hanno provato a gettare acqua sul fuoco delle polemiche: «Non lasciamo che le divisioni di queste ore ci avvelenino il cuore», ha detto l’arcivescovo Ieronimos, il leader di una chiesa ortodossa che sembra essersi schierata per il sì, rompendo la luna di miele con Alexis Tsipras. Difficile che sia ascoltato. Kyriakos Mitsotakis, uomo di punta del centrodestra di Nea Demokratia e rampollo di una delle grandi dinastie della politica ellenica, si è presentato in tv sventolando la banconota da 1 trilione di dollari della Zimbabwe, tanto per far capire come finirà, secondo lui, la Grecia di Syriza. Il governo ha costruito un sito bipartisan per il referendum che pare un volantino elettorale per il no. E il Consiglio di stato, intanto, deciderà oggi se accogliere il ricorso dell’ordine degli avvocati che chiede il ritiro della consultazione per vizi di costituzionalità.
La posta in gioco è altissima e la tensione all’interno dei due schieramenti si taglia con il coltello. Tre deputati di Anel, il partner di governo della sinistra, hanno fatto outing dicendo che voteranno sì contro le indicazione della formazione della destra nazionalista. «Siamo in guerra e chi non ha le palle per gestirla è meglio che lasci», ha commentato sobriamente il segretario Kammenos che ha espulso dal partito Costas Damavolitis, uno dei tre apostati. Lo stesso ministro della difesa si sarebbe scontrato con Tsipras nelle ultime ore rinfacciandogli l’ok ai creditori per tagliare di 400 milioni il budget dei militari. Costringendo il premier a una brusca retromarcia. Volano gli stracci anche tra le fila di Syriza e molti ieri parlavano delle dimissioni del segretario generale del governo Spyros Sagias, dopo un confronto piuttosto vivace, per usare un eufemismo, con il super- falco Varoufakis. Tema: l’opportunità di fare o meno il referendum.
Articolo intero su La Repubblica di oggi.
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