Un documentario racconta le storie di dieci convertiti. Persone dentro una città in trasformazione da sempre ricca di spiritualità. E capitale di tolleranza, di dialogo con le minoranze. Dove prima che in altri luoghi si è registrato il fallimento sociale che diventa premessa per una nuova scelta religiosa. Ecco perché “Napolislam” rischia di cambiare davvero la percezione della quotidianità italiana.
Napoli, Islam? Davvero Napoli si sta islamizzando? Ci sono dei documentari che cambiano per sempre la percezione del tema che affrontano. È stato così per Inside Job , film premio Oscar di Charles Ferguson che ha raccontato la crisi economica dimostrando la colpevole responsabilità della finanza. È stato così per
Sugarman , la storia di Sixto Rodriguez, cantante sconosciuto nel suo Paese, gli Stati Uniuti, ma che era diventato, a sua insaputa, famoso come Elvis in un’altra parte del mondo, il Sudafrica, e per tutta la vita ha continuato a fare il manovale.
Il documentario che rischia di cambiare la percezione della quotidianità italiana è Napolislam .
Scritto e diretto da Ernesto Pagano (e prodotto da Ladoc), racconta storie di napoletani e napoletane convertiti all’Islam.
Napoli è una città devota, la sua religiosità è continua, quotidiana, nelle iperboli pagane: dal sangue di san Gennaro alle capuz-zelle , l’antica tradizione di adottare un teschio per prendersi cura dell’anima di uno sconosciuto in cambio di una grazia. Napolislamracconta invece la storia di una città in trasformazione attraverso dieci napoletani che si sentono chiamati da Dio a diventare islamici. E non stiamo parlando di intellettuali, ma di persone del popolo.
Il grande bisogno di trascendenza, a cui la Chiesa non sempre risponde, la vita che diventa insopportabile (commovente è la storia di un operatore ecologico che si avvicina all’Islam come “soccorso” dopo la morte di sua figlia per cancro), l’ideologia politica divenuta merce scadente che non basta più. La storia di Salvatore, ex disoccupato organizzato convertito perché in questa fede vede l’unica soluzione all’ingiustizia sociale, mostra come anche un certo tipo di lotta sociale abbia fatto il suo tempo: credere nell’ideologia è rischioso perché l’ideologia è miope, fallace, e quindi c’è chi ha sostituito con l’Islam l’ideologia del riscatto sociale contro i potenti. Salvatore non ha letto il filosofo Zizek ma dice in sintesi la stessa cosa: ossia che l’islam colma un vuoto quando avverti l’impossibilità di impegnarti in un cambiamento sociale reale. Se non c’è più possibilità di socialismo, di cambiamento di vita che viene dal lavoro, l’islam diventa per molti l’unica risposta.
È straniante sentire queste persone con forte accento napoletano che seguono le regole coraniche e affrontano il tema islamico con i loro famigliari. Ne nascono anche momenti di grande comicità: quando Alessandra, neo-convertita, spiega alla madre che per via della nuova religione ha cambiato anche le abitudini alimentari. La madre — pensando, erroneamente, che le abitudini musulmane siano incentrate sulla privazione del piacere del cibo — sbotta: «Però ‘a Nutella t’a mangi ‘o stess’ ». E lei:«E che c’entra, mica c’è il maiale nella Nutella».
Napolislam mostra il percorso di islamizzazione nelle periferie, nei Quartieri popolari: laddove si avverte un vuoto, si cerca di colmarlo con un altro tipo di spiritualità, perché la vita non può essere soltanto lavoro, materialità, sfogo. Deve almeno provare a cercare un senso. E queste persone l’hanno trovato nell’Islam.
Naturalmente un conto è l’Islam e un altro l’orrore della deriva terrorista e nel documentario questo non è dichiarazione di principio ma descrizione e dimostrazione. Di fronte ai tragici fatti di Charlie Hebdo, i protagonisti sono sconvolti: e tutti egualmente disgustati dalla violenza. C’è solo un momento in cui qualcuno si lancia in un ragionamento ambiguo: «Ora in tv si vede Isis ovunque… Te li fanno vedere col coltello in mano che tagliano teste o con le bombe, però non si va mai a vedere perché lo fanno». Inciso rischioso, ma è un attegiamento isolato, motivato da una sorta di sensazione diffusa di colpa. In tutti, infatti, c’è una grande presa di distanza. Riassunta dal grido di un rapper convertito: «Che c’entra tutto questo con l’Islam?».
Il Corano raccontato da Ernesto Pagano nel film non è affatto il libro di guerra che sventolano i fanatici del terrore. È al contrario un Islam che risponde al bisogno di spiritualità dei napoletani. Napoletani che non sanno magari esprimersi in italiano, ma recitano perfettamente le preghiere in arail Corano bo, a dimostrazione che nessun limite può annichilire chi ha passione e voglia di cercare un senso nuovo al proprio vivere. È una storia che mette in evidenza più di un vuoto: anche quello presente nella riflessione italiana sull’Islam, che si limita spesso alla rappresentazione di un doppio schieramento, chi condanna e chi difende, sezna mai addentrarsi nella profondità del problema. Di più: Napolislam dimostra come sia il Sud il vero territorio che può fornire dialettica, prospettive nuove. Così come le periferie creano tensioni, sì, ma anche nuove ipotesi di vita, allo stesso modo il Sud Italia è la vera dimensione in cui avviene l’incontro, il dialogo e l’inevitabile confronto con l’Islam.
Napoli è da sempre una capitale di dialogo con tutte le minoranze: Napoli non è mai stata omofoba, Napoli non è mai stata islamofoba. Napoli è abituata per destino ad accettare tutto ma questa indolenza spesso rassegnata piu volte ha saputo trasformarla in tolleranza e talento per le co-abitazioni. Esiste certo un razzismo di pregiudizio, anche a Napoli diffusissimo, ma che viene in concreto annullato da una prassi di vicinanza umana.
E nella sottolineatura di questo aiuta molto — nel film — la fotografia curata da Lorenzo Cioffi: le case dei napoletani sembrano case del Maghreb, il racconto delle strade e della quotidianità è quello di una città africana o mediorientale. Napoli insegna la convivenza delle diverse civiltà del Mediterraneo: quando i fedeli, numerosi, si fermano in mezzo alla strada a pregare, i commercianti di Piazza Mercato — piazza di sangue e odio dove personaggi come Corradino di Svevia e i rivoluzionari della Repubblica Partenopea furono decapitati — mostrano di rispettare la loro devozione, ammirando quel pregare quotidiano:«Vanno a messa tutti i giorni. Noi solo quando ne abbiamo bisogno».
E poi ci sono le donne, divise tra la voglia di seguire i precetti, come quello di indossare il velo, e la necessità di trovare un lavoro per cui quel velo non sarebbe ben visto. Donne tormentate nel dimostrare a chi gli è intorno che la scelta del velo non è imposta, non le fa sentire schiave ma al contrario le rafforza nell’identità e le protegge.
Il simbolo della tolleranza napoletana è poi la storia di Giovanni Yunis: proveniente da una famiglia cattolica osservante, si è convertito e si è messo a studiare l’arabo nonostante sia ormai anziano. Sua moglie, però, non si è convertita: «A me la chiamata non l’ha fatta nessuno!», ribatte con ironia mentre il marito spiega come si è sentito chiamato da Allah. Eppure i due continuano a convivere pacificamente, a dormire nello stesso letto dietro il quale campeggia l’effigie della Madonna, nelle stesse stanze in cui Giovanni stende il tappetino verso la Mecca per pregare.
La fede islamica dei protagonisti va a fondersi con la loro cultura napoletana, tanto che a volte non capiamo se i comportamenti siano frutto di uno o dell’altra. Quando una delle protagoniste chiama al telefono la madre per comunicarle che il figlio che aspetta sarà una femmina, la madre rimane delusa. E non è chiaro se questa delusione nasca dalla cultura islamica o — più probabile — da una certa cultura popolare per cui a portare fortuna è il maschio. Lo stesso dubbio lo abbiamo anche quando uno dei convertiti, emigrato in Inghilterra per trovare lavoro, spiega che ha intenzione di tornare perché, va bene il lavoro, ma non si può sempre faticare… Popolo arabo e popolo napoletano forse hanno molto più in comune di quanto ciascuno ne abbia con il Nord Italia e il Nord Europa.
Articolo intero su la repubblica del 13/07/2015.
Saviano scrive: Napoli non è mai stata omofoba, Napoli non è mai stata islamofoba. Vero caro Saviano, ma Napoli non è mai stata Italia né paradigma dell’italianità.
il film l’ho visto e mi sembra una boiata pazzesca.
Trattasi della storia di diversi analfabeti che non conoscendo nemmeno il sole che splende fuori dalla loro porta decidono di convertirsi in toto all’Islam.
Poi per circa 1 ora insultano chi non è della loro idea
trattandoli come poveri dementi,
salvo sul finale riprendersi mostrando come i veri ignoranti siano loro ( i convertiti ) che sputano sentenze aggrappandosi su una cultura che hanno conosciuto al massimo due giorni prima.