Il governo va sotto su un emendamento alla riforma della tv di Stato: dissidenti irritati dalla stampella degli ex-Fi.
Dai e dai ce l’abbiamo fatta a mandare sotto il governo”. Un senatore del Pd se la ride soddisfatto. Dopo aver salvato il collega Antonio Azzollini (Ncd) dai domiciliari, palazzo Madama boccia un pezzetto della legge di riforma sulla Rai che riguardava la delega sul canone di abbonamento. La minoranza dem si prende una rivincita, complice le assenze dei renziani (11 unità), di 7 verdiniani (presenti 3 su 10) e metà Ncd. Questo accade perché si è aperta ufficialmente la trattativa sul rinnovo del Cda di Viale Mazzini. L’OPPOSIZIONE INTERNA a Renzi gongola: “Dopo il gruppo di Verdini e il salvataggio di Azzollini ci voleva una risposta. Se Renzi invece di discutere con noi pensa di aggirare il problema creandosi un gruppo servo noi facciamo sentire i nostri numeri”.
Ma la riforma, nel momento in cui scriviamo, sta per essere approvata,anche se sarà influente in questa tornata di nomine. La minoranza dem non ha nessun problema ad ammettere che stavolta il merito c’entra poco. E la battaglia è tutta politica.Sono stati in 19 a mettere a segno il punto(Vannino Chiti,Paolo Corsini,Erica D’Adda,Nerina Dirindin, Federico Fornaro, Maria Grazia Gatti, Miguel Gotor, Maria Cecilia G u e r r a , P a o l o P a l e o t t i Guerrieri, Silvio Bachisio Lai, Sergio Lo Giudice, Doris Lo Moro, Maurizio Migliavacca, Corradino Mi-neo, Massimo Mucchetti, Carlo Pegorer, Lucrezia Ricchiuti, Roberto Ruta, W a l t e r T o c c i ) m e n t r e dall’altra parte i verdiniani facevano sentire il peso della loro assenza. IN UNA SOLA settimana i segnali dello sfaldamento della maggioranza sono sempre più evidenti: lunedì è mancato per quattro volte il numero legale.Anonesserci erano la metà dei senatori di Ncd. In parte assenze fisiologiche, ma anche un avvertimento a Renzi, casomai avesse pensato di dare mandato di votare per l’arresto di Azzollini. Poi, mercoledì, il Pd si è diviso, in Aula e fuori, proprio rispetto alla posizione da assumere rispetto all’ex presidente della commissione Bilancio di palazzo Madama, con i due vicesegretari Guerini e Serracchiani su posizioni opposte, Cuperlo che chiedeva una verifica di maggioranza e Renzi che si barcamenava, senza metterci la faccia. Ieri l’operazione politica è stata compiuta fino in fondo. Durissimo Matteo Orfini, il presidente:“Se il voto in dissenso dal gruppo diventa non un’eccezione limitata a casi straordinari ma una consuetudine, significa che si è scelto un terreno improprio per una battaglia politica. Così non si lavora per rafforzare un partito ma per smontarlo”. E poi ancora: “Le riforme, la legge elettorale, il lavoro, la scuola. Non può essere tutto. Non si può fare il congresso su ogni singolo voto. Se vogliono il congresso lo chiedano”. Ma a questo punto ci saranno provvedimenti? “Qualcosa dovremo fare. Intanto, sentiamo cosa ha da dire chi ha votato quell’emendamento”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 31/0772015.
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