Renzi è solo l’ultimo caso. Da D’Alema a Monti-Napolitano: gli elettori esautorati.
Il commento più limpido a sostegno di Alexis Tsipras viene da un suo sostenitore: “Un governo responsabile si sottomette alla volontà popolare. I greci decideranno se Alexis deve andare avanti. Lezione democratica per l’Europa”. Firmato, Pablo Iglesias, leader della formazione di sinistra spagnola, Podemos. Comunque la si pensi su Tsipras, quello che non gli manca è il coraggio di confrontarsi con i propri elettori. Elezioni vinte di slancio a gennaio, referendum sull’accordo con l’Eurogruppo il 5 luglio, elezioni anticipate a settembre. Nessun altro paese può dire di aver mai fatto tanto e la Grecia può vantare senz’altro la definizione di culla della democrazia.
IN PARTICOLARE se la si confronta alle pratiche italiane. Qui, il ricorso al voto è sempre stato visto come un cedimento al populismo e alla demagogia,un vizio da cui vaccinarsi il più possibile. Gli esempi non mancano. Il più eclatante è quello in corso: il governo di Matteo Renzi non discende certo da un voto popolare ma da una manovra di palazzo.Dopo aver inviato al suo precedessore il messaggino avvelenato,“Enrico stai sereno”, Renzi, con l’appoggio di tutto il Pd, ne ha preso il posto a Palazzo Chigi senza informare gli elettori. Poi ha fatto di più: si è insediato alla guida del governo con un programma – giù le mani dall’articolo 18, cambiare la scuola con i professori, reddito minimo per i disoccupati–per poi governare con un altro. Senza alcuna validazione democratica, senza alcuna consultazione. Il premier, però, si è accodato a una tradizione antica. Nel 2011, quando il quarto governo di Silvio Berlusconi è costretto alla resa – peraltro, su un voto del Parlamento che approvò il provvedimento governativo – e si reca al Colle per le dimissioni,il“metodogreco”avrebbe portato l’Italia alle elezioni anticipate. Elezioni che, tra l’altro, avrebbero segnato una sonora sconfitta dell’ex Cavaliere. E INVECE, GIORGIO Napolitano, nelle ore decisive, dal Quirinale pilota la crisi chiedendo a tutti “nuovi comportamenti nelle istituzioni da parte delle forze politiche”, nomina Mario Monti senatore a vita il 9 novembre, segnale inequivocabile, all’Italia e all’Europa, che attorno a lui si farà immediatamente un nuovo governo. E dà vita alle larghe intese. Niente voto, niente ricorso al popolo. Il presidente della Repubblica in quei giorni ha il sostegno di tutti o quasi. L’attuale vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani, non ancora folgorata da Renzi,dichiara che “sarebbe incosciente guardare a interessi di parte” e quindi chiedere le elezioni. E lo stesso Renzi, in procinto di lanciare l’assalto al Pd, non chiede il voto ma si compiace sulla sua pagina Facebook: “Adesso si tratta di scrivere una pagina davvero nuova, che aiuti l’Italia a tornare a correre. Una cosa è certa: da oggi non ci sono più alibi”. Non si vota e quando lo si farà,nel 2013,Berlusconi avrà avuto il tempo per recuperare e Pier Luigi Bersani la sorpresa di perdere.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 22/08/2015.
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