METODO MAFIOSO Dubbi d’interpretazione.
Dal varo della nuova legge sul voto di scambio, il 416 ter, nell’aprile 2014, si sono avute sentenze contraddittorie in ogni grado di giudizio tanto che nell’imminenza della ripresa a pieno dei processi, perfino lo stesso relatore della legge, Davide Mattiello del Pd, si preoccupa che politici alleati con mafiosi possano farla franca. E allora promette che, se fosse necessario, è disposto a proporre “una norma di interpretazione autentica della legge”. TUTTO NASCE da una frase contenuta nel testo: parla di “metodo mafioso”che deve far parte del patto elettorale tra il politico e il boss perché possa essere riconosciuto il voto di scambio criminale.
Alcuni giudici hanno inteso questa formula come la necessità per indagare, arrestare o condannare un politico di dimostrare che, in cambio di “denaro o altre utilità”ci sia stato l’accordo con il mafioso di usare metodi intimidatori per farlo eleggere, altri giudici, invece, hanno inteso il “metodo mafioso” come la consapevolezza del politico di fare un patto con un boss. “È proprio questa la volontà del legislatore”, chiarisce Mattiello, “il patto con il mafioso”. Su una materia del genere, prosegue, “lo Stato non può giocare, quindi vorrei sapere dai rappresentanti dei magistrati se c’è bisogno di un nuovo intervento del legislatore, senza dover attendere l’eventuale pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione”. A pochi mesi dall’approvazione della sua legge, la Sesta sezione della Cassazione, il 28 agosto 2014, ha annullato con rinvio la condanna del medico palermitano Antonello Antinoro, ex politico dell’Udc, delfino di Totò Cuffaro, accusato diaverfattounpattoelettorale con il clan di Resuttana. NON È STATA ritenuta sufficiente la busta con 5.000 euro in cambio di 60 voti frutto di una presunta intesa avvenuta durante un incontro tra boss e candidato perché, secondo il nuovo 416 ter, “le modalità (mafiose, ndr) di procacciamento dei voti debbono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso”. La stessa sezione della Cassazione,però,con un collegio diverso, ha dato una interpretazione opposta per il caso di Pietro Luca Polizzi accusato dalla procura di Palermo di aver procurato i voti mafiosi per le regionali 2012 a Doriana Licata, candidata con l’Mpa di Raffaele Lombardo. Ha annullato con rinvio la scarcerazione disposta dal Riesame perché non era provata l’intesa sull’intimidazione: il reato si configura anche senza “l’attuazione” né la “programmazione” di una campagna “intimidatrice”. Anche la corte d’Appello di Torino ha riconosciuto il voto di scambio al processo Minotauro. Così non ha fatto, invece, il gip di Palermo che il 27 maggio scorso ha deciso gli arresti domiciliari, tra gli altri, per due deputati regionali (salvo revocarli in seguito) Nino Dina, Udc, presidente della Commissione Bilancio,e Roberto Clemente del Pid-Cp, il partito di Saverio Romano. Non per voto di scambio ma per corruzione elettorale.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 26/08/2015.
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