MIGRANTI L’introduzione dei “punti caldi” controllati da agenzie dell’Ue, ma affidati alle cricche degli scandali come Mafia Capitale.
Ce lo chiede l’Europa. Schengen e il suo trattato rischiano di finire impigliati nei muri di filo spinato alle frontiere, Dublino è da archiviare nell’elenco dei fallimenti, e allora l’Europa ci impone di cambiare rotta in materia di immigrazione. Sì ai profughi che scappano da guerre e regimi autoritari, no ai migranti economici. Questa è la linea. Facile tracciarla, difficile, al limite dell’impossibile, mettere d’accordo tutti quando si tratta di definire il numero di disperati che ogni Stato membro deve accogliere. IL SUMMIT di lunedì scorso dei ministri dell’Interno è stato un fallimento: nessun accordo sui 120 mila rifugiati, che si aggiungono ai 40 mila già accertati in luglio, e nessuna firma sulle quote obbligatorie per ogni Paese. Se ne riparlerà in un prossimo vertice. Per il momento l’immagine di sé che l’Europa trasmette al mondo intero è quella dei poliziotti armati ai confini tra Ungheria e Serbia e delle nuove Cortine di ferro innalzate all’Est.
Ed è polemica, con il governo italiano, che pur accettandole indicazioni Ue,dichiara di non voler avviare i nuovi strumenti fino a quando non si definirà la questione dei rimpatri e soprattutto quella delle quote. La parola magica è hot spot, letteralmente“punto caldo”. Si tratta di strutture dove i migranti ricevono la prima assistenza, vengono fotosegnalati e sottoposti a identificazione e registrazione delle impronte digitali. Il piano per l’Italia ne prevede cinque dislocati esclusivamente al Sud e particolarmente in Sicilia. Oltre Lampedusa, tre dei cinque punti caldi (Augusta, Pozzallo e Trapani) sono sull’Isola, uno solo, Taranto, è sulla terraferma. UNA NUOVA SIGLA che si aggiunge ai vari Cpsa (centri di primo soccorso e accoglienza), Cda (centri di accoglienza), Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo) e Cie (centri di identificazione e espulsione). Negli hot spot gli immigrati potranno essere trattenuti per 48 ore, il tempo necessario alla loro identificazione,che avverrà grazie alla collaborazione di tre agenzie europee: Easo (l’ufficio europeo per l’asilo), Frontex (che avrà una sua base a Catania ) ed Europol. Una quarantina di funzionari sarebbero dislocati in Italia. Tutto bene? Sulla carta, come sempre quando si parla di immigrazione, certamente sì. “MA LA REALTÀ rischia di essere ben diversa”,dice il deputato di Sel Erasmo Palazzotto, segretario della commissione parlamentare che sta indagando sullo scandalo dei centri per l’immigrazione: “Ci mancano ancora notizie essenziali su come e da chi saranno gestiti gli hot spot,ma alcune domande possiamo già porle, e riguardano i diritti individuali della persona. Come si fa a imporre a un migrante di farsi prendere le impronte digitali? E poi, siamo sicuri che 48 ore siano sufficienti per identificare una persona che viene dalla Siria o da un altro teatro di guerra? E ancora, chi viene identificato in quale Paese europeo viene destinato? Qui parliamo di quote, ma la maggior parte dei profughi che sbarcano in Italia vogliono andare nel nord Europa. Sono chiarimenti che abbiamo più volte chiesto al prefetto Mario Morcone (capo del dipartimento immigrazione del Viminale, ndr). Stiamo ancora aspettando”. Insomma, c’è il rischio che gli hots pot diventino dei piccoli Cie, delle strutture replica di quelle dello scandalo Mafia Capitale come Mineo, di San Giuliano di Puglia e delle ruberie?
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 17/09/2015.
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