L’Islam è una religione di pace,è una frase che non riesco ad accettare.Ritengo che sia non vera e che sia infondata.L’appello alla violenza e la sua giustificazione sono esplicitamente presenti nei testi sacri dell’Islam e non in versetti o contesti isolati ma come tema fondamentale di molti capitoli.Oggi sosteniamo a più voci che la violenza è opera di una frangia di pazzi (sono d’accordo) ma definiamo il problema come una sorta di corpo estraneo. Continuiamo a dire che ‘la religione non c’entra’. Invece sono convinta che solo un dialogo franco e senza ipocrisie, che abbracci anche la questione religiosa, potrà risolvere un conflitto che è il grande conflitto interno dell’Islam”. LALETTERAè firmata (io dirò solo Laura) ed è stata scritta dopo Parigi. Tutto è detto con onestà, sincerità e tormento nella lettera (molto più lunga) a cui cerco di rispondere. Il punto che voglio proporre è : smettiamo di far finta che tutte le religioni sono buone e umane.
Il mondo che adesso è sotto attacco non ha, anche nelle sue religioni, una storia esemplare. Per questo non mi sono mai soffermato,prima,sul dibattito intorno alla ferocia esclusiva dell’islamismo. Ogni religione monoteista è assoluta e ha avuto lunghe stagioni di ferocia e di morte. La storia dei massacri del cristianesimo ci dice che Dio, la croce, il Vangelo, sono diventati presto il grande strumento del potere per indurre grandi masse ad agire contro se stesse, ovvero contro altri esseri umani, visti come pericolo intollerabile. Il nazismo non era né più né meno religioso degli uomini di Al Baghdadi o dei talebani. Comandanti di buona formazione universitaria occidentale e cristiana sequestravano quadri “degenerati” di Picasso, musica jazz, scrittori come Thomas Mann e nessuno di loro ha avuto problemi a spingere avanti, con le armi puntate, il bambino ebreo con le mani in alto che si vede nella celebre fotografia. Sto dicendo che, crollate frontiere e radici di appartenenza a questo o quel territorio o nazione , gente come i manovratori di Isis, stanno usando la religione come nazione che non esiste, così come hanno inventato lo Stato come luogo di una residenza che fisicamente non c’è.Lo fanno per creare una appartenenza e, attraverso la ferocia spettacolare, una rivincita (e dunque una speranza) contro infelicità e frustrazione. Nel mondo di Isis che ci lasciano intravedere si sovrappongono due strati di vite umane: coloro che erano soldati-servi nei regimi crollati e, una volta “liberati”, sono diventati lavoratori-servi dove credevano di trovare modernità e civiltà.E coloro che, nel venir meno dei precedenti padroni coloniali, si sono trovati in mano immense ricchezze. Le usano per un tremendo doppio gioco: compiacere (tutti gli investimenti negli Usa e in Europa, fino al punto di comprarsi i n t e r e p a r t i d e l l e maggiori città,come a New York e Milano, e da farci volare con linee aeree da Mille e una Notte) e terrorizzare, in modo che il vecchio potere bianco non abbia mai più la persuasione del dominio assoluto. Siamo presi, tutti, nel grande inganno dello Stato fiction e della morte vera, senza la “intelligenza” per districarci. In questo gioco terribile in cui si muore a turno, la religione è spinta a un massimo di fede (noi diciamo “fanatismo”) che è quasi ascetismo,e vissuta in un clima di rivoluzione che suggerisce libertà (mentre è obbedienza assoluta), ed è ravvivata dall’orrore. C’È UN DOPPIO risultato:rendere più forti ma anche più sudditi, i nuovi credenti (del resto anche lo spettacolo del bruciare vivo Savonarola, mostrandone bene la lenta morte, aveva questo scopo)e spargere in noi la paura (che alcuni travestono da combattentismo).
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 22/11/2015.
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