In piazza Le comunità islamiche si radunano a Roma contro il terrore del Califfato. Politici, bandiere, striscioni. E qualcuno prega (anche) per noi.
La pioggia è una benedizione di Dio, nel Corano.Sono lacrime di angeli. Recita una sura: “Allah è Colui che invia i venti che sollevano una nuvola; la distende poi nel cielo come vuole e la frantuma, e vedi allora le gocce uscire dai suoi recessi. Quando poi ha fatto sì che cadano su chi vuole tra i Suoi servitori, questi ne traggono lieta novella”. E la lieta novella è che ieri, per la prima volta in Italia, le comunità islamiche si sono radunate contro il terrorismo dell’Isis, dopo le sanguinose azioni belliche di Parigi.
Sono le tre del pomeriggio e a Roma piove.La manifestazione “Not in my name” (Non nel mio nome), è in piazza Santi Apostoli, piazza cara all’Ulivo prodiano. Telecamere e giornalisti vanno a caccia di imam e semplici musulmani per far ripetere davanti a un microfono centinaia di dichiarazioni dello stesso tipo: “Non si uccide in nome di Dio. L’Isis è un cancro, non è Islam”. I primi politici ad arrivare sono due deputati della neonata Sinistra Italiana, Fassina e Scotto. Poi Casini, Cicchitto, il sottosegretario Della Vedova, qualcuno di Scelta Civica, i radicali Capezzone e Magi, finanche l’azzurro Malan. I sindacati sono presenti con Ca-musso,Cgil,eBarbagallo,Uil. Per il Pd, c’è Khalid Chaouki, parlamentare di origini marocchine sotto scorta, dal cui appello è nata l’iniziativa di piazza Santi Apostoli. Nessun leghista, ovviamente. Tra i volti intervistati c’è Nino La Rossa, vecchia gloria del pugilato italico. La pioggia aumenta e il palco, al coperto, si riempie di persone.Dietro c’è la scritta Not in my name.“Per favore scendete dal palco,siamo troppi”. Lo speaker apre con una nota di rammarico: “Avremmo voluto cominciare con l’inno d’Italia”. Qualcosa però si inceppa, sotto la bufera d’acqua. “ In nome di Dio, il Misericordioso” Alle tre e un quarto, ci sono più di trecento persone. Cresceranno fino a mezzo migliaio. Il palco è a meta della piazza. Appena oltre c’è, sulla destra, la bella chiesa dei dodici apostoli. È aperta, ma vuota. Il cielo continua a mandare benedizioni che bagnano. La piazza è blindata, ma non troppo. Si entra liberamente e circolano poliziotti in borghese, con radio trasmittenti. Il primo intervento è del segretario generale della Grande Moschea di Roma. “In nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso”. “Dio è amore”, dice Abdellah Redouane. È una condanna senza aggettivi. “No al terrorismo” e “no a tutti i terrorismi”. Il suo italiano è perfetto: “Il terrorismo non può continuare a colpire ovunque in nome dei musulmani. Da Roma vogliamo che tutto il mondo ci ascolti”. La folla è colorata. Ci sono le bandiere blu della Comunità di Sant’Egidio, le mantelle rosse della Fiom, i vessilli gialli dei Radicali Italiani, quelli arcobaleno della pace e poi decine di striscioni e cartelli delle comunità islamiche. Alla vigilia si è scritto e temuto che fossero divise, ma sono tante le sigle confluite in piazza Santi Apostoli, dal Coreis all’Ucoii. Un imam promette: “Denunceremo chi fa propaganda dell’Isis nelle moschee”. È la rottura di un altro tabù, quello dell’omertà religiosa. “Anche noi siamo italiani” In mattinata, gli organizzatori sono stati ricevuti da Laura Boldrini, presidente della Camera. Dal palco, invece, vengono letti messaggi di Mattarella, Grasso e Fassino, quest’ultimo presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani. Izzedin Elzir è l’imam di Firenze nonché capo dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia. Dice: “Stiamo dimostrando che abbiamo superato la paura e lo choc degli attentati, perché l’obiettivo dei terroristi è farci vivere nella paura. Assieme possiamo battere questo cancro dell’umanità”. Cancro è la parola che si legge su molti cartelli. Cancro uguale Isis. I musulmani di piazza Santi Apostoli si sentono italiani. Ancora Elzir: “Il terrorismo non ha sede, noi non siamo incivili come loro, la nostra presenza qui dimostra che la comunità islamica è parte integrante della comunità italiana”. Gli islamici di Torpignattara Al quarto intervento, dal fondo della piazza si sente gridare. Si temono i fascisti. Invece sono i musulmani di Torpignattara, periferia romana, che fanno ingresso a Santi Apostoli. È una sorta di allegro controcomizio. I giornalisti li circondano. Loro si fermano e fanno cori contro l’Isis. La più agitata è una ragazza tunisina di nome Manik. È una studentessa universitaria della Sapienza di Roma. Ha il velo e urla, alzando le braccia al cielo: “Noi non siamo l’Isis. Se volete attaccarci troverete noi per primi. Troverete me, venitemi a prendere se siete in grado. La difendo io l’Italia. Sono qui contro di voi, Isis, ovunque sarete”. Su un lato sono schierati una ventina di migranti del Bangladesh. Espongono cartelli contro gli attentati in varie zone del Medio Oriente. Dice uno di loro, Aki: “Siamo venuti a manifestare qui per fare chiarezza. Dopo gli attentati di Parigi, tutti ci guardano come se i colpevoli fossimo noi, ma noi non siamo nemici di nessuno. Il nostro è un messaggio pace”. Il caleidoscopio di questo storico sabato pomeriggio si completa, all’improvviso, quando cinque somali si dirigono verso il palazzo dove nacque l’Ulivo. Si mettono in un angolo, si tolgono le sneakers e stendono due tappeti. Infine s’inginocchiano e cominciano a pregare, con la faccia al muro, in direzione della Mecca. Nel frattempo, sul palco, parla Casini e si sente qualche fischio, isolato però. Lui e Cicchitto, entrambi centristi, sono, rispettivamente, i presidenti delle commissioni Esteri di Senato e Camera. L’invettiva di Virzì contro la destra La scaletta ufficiale alterna musulmani e italiani, non solo politici.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 22/11/2015.
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