Achim Steiner.
Il direttore dell’Agenzia Onu per l’ambiente: “I Paesi possono attivare un meccanismo di controllo per arrivare a uno scenario carbon neutral. Il pianeta si può salvare”.
PARIGI – «Questa conferenza era partita come una grande sfida e oggi la posta in gioco è ancora più alta. Dopo gli attacchi terroristici del 13 novembre, è ancora più urgente dare sicurezza in due direzioni: garantire la stabilità del clima e dimostrare che attorno al buon governo delle risorse naturali si può trovare un accordo tra 7 miliardi di persone. Aver mantenuto l’impegno al negoziato di Parigi è stato un primo segnale forte». Achim Steiner, direttore dell’Unep, il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite, guarda con fiducia al lavoro in cui sono impegnati i delegati arrivati al summit che deciderà il futuro climatico del pianeta.
Secondo i climatologi bisognerebbe essere più rapidi: la concentrazione di CO2 in atmosfera continua ad aumentare mentre dal 1992, cioè dalla firma della convenzione per la difesa dell’atmosfera, a oggi non è stato ancora trovato un accordo che impegni tutti.
«Sì, abbiamo accumulato un ritardo grave, ma è anche vero che negli ultimi tempi qualcosa è cambiato. Mai nella storia di questa lunga trattativa per la difesa del cima era successo che tanti paesi scendessero direttamente in campo prendendo impegni concreti per ridurre i gas serra. Oggi 181 paesi, responsabili di oltre il 90% delle emissioni, hanno messo nero su bianco una lista di obiettivi per la protezione dell’atmosfera. E’ un salto di disponibilità che fino a pochi anni fa sembrava impossibile ».
Un salto insufficiente. Mettendo assieme tutti i tagli previsti, e supponendo che diventino effettivamente operativi, si arriverebbe a metà dell’obiettivo considerato necessario per arrestare il riscaldamento climatico al di sotto dei due gradi di aumento rispetto all’era pre industriale.
«Partire con metà dell’obiettivo in tasca non è un vantaggio trascurabile. Naturalmente si tratta ora di ottenere l’altra metà, ma i segnali in questa direzione ci sono e sono netti. La scommessa è costruire un meccanismo di revisione dei target che permetta di arrivare a uno scenario carbon neutral, cioè a emissioni zero, nella seconda metà del secolo ».
Una carbon tax, già adottata da vari Paesi e da varie regioni, darebbe una bella spinta al processo.
«Sull’idea di inserire il costo del disinquinamento all’interno del prezzo dei prodotti ad alto tenore di carbonio c’è oggi consenso anche all’interno della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Ma il tema non è all’ordine del giorno a Parigi. Forse lo sarà tra 5 anni, nel momento in cui il processo che delineerà in questi giorni diventerà operativo».
Qual è l’alternativa alla carbon tax?
«Ci sono vari sistemi per dare un prezzo all’anidride carbonica prodotta bruciando combustibili fossili. L’Europa ad esempio ha messo un tetto alle emissioni e ha creato un mercato di compravendita delle quote di emissione che penalizza chi non innova. Inoltre i grandi capitali che fluttuano da un paese all’altro e da un’attività all’altra stanno dedicando un’attenzione sempre maggiore alle fonti rinnovabili perché permettono investimenti sicuri e redditizi. Se i 500 miliardi di dollari di incentivi ai combustibili fossili venissero spostati in direzione green questo processo diventerebbe più veloce».
Intanto però i danni da caos climatico continuano ad aumentare.
Articolo intero su La Repubblica del 30/11/2015.
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