ROMA – «Non cambia nulla. Non è uno 0,8 o un 0,9 a fare la differenza », dicono con distacco a Palazzo Chigi. Eppure non è solo una questione di decimali. La questione è assai più complessa. Ed è per tanti versi un campanello d’allarme per il governo: la ripresa, già debole, sta rallentando. Bene che andrà sarà un ripresina. Ma l’azione di politica economica del governo era fondata su ben altre prospettive interne ed esterne. La trattativa con Bruxelles sulla flessibilità dei parametri parte tutta in salita. La ripresina non spingerà l’occupazione e la crescita dei posti di lavoro a tempo indeterminato rischia di assomigliare ad una “bolla”, come qualcuno aveva previsto, destinata a scoppiare anche se ci costerà più di dieci miliardi di euro per via degli sgravi contributivi e ancora di più se si considera l’abolizione dell’Irap sul costo del lavoro stabile.
Dunque i dati arrivati ieri dall’Istat (nel terzo trimestre dell’anno l’economia italiana è cresciuta dello 0,8% rispetto a un anno fa) hanno avuto l’effetto di una doccia fredda nelle stanze del governo. Perché il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, solo qualche mese fa, avrebbero davvero scommesso su una ripresa piena, su un +1% di Pil già nel 2015. L’Istat dice che nei primi tre trimestri del 2015 siamo cresciuti dello 0,6%. Ora anche solo l’obiettivo dello 0,9% a fine anno (indicato nei documenti ufficiali, anche in quelli inviati a Bruxelles per ottenere ad aprile il via libera per il ricorso alle cosiddette clausole di flessibilità) appare compromesso. Ieri Renzi l’ha pure detto: «Secondo me chiudiamo allo 0,8% anche se il ministero dell’Economia sostiene che comunque sarò lo 0,9». Non è questione di decimali, tanto — appunto — che in tempo reale il ministro Padoan ha inviato un sms al premier: «Sullo 0,9% di crescita del Pil tieni la linea, non è Roma-Fiorentina… ». Che vuol dire alimentare la fiducia dei consumatori. D’altra parte è stato Renzi a definire l’ultima manovra “una legge Stabilità/Fiducia”. Operazione per niente facile. Complicata dalla paura del terrorismo che i dati dell’Istat di ieri però non registrano perché rilevati prima della strage di Parigi.
Per centrare l’obiettivo dello 0,9 il Pil dovrebbe crescere nell’ultimo trimestre dell’anno dell’1%, un tasso «abbastanza inusuale per l’economia italiana », ha spiegato Luca Mezzomo del servizio studi di IntesaSanpaolo. Insomma è praticamente improbabile che si raggiunga il target dello 0,9%. La dinamica del Pil italiano continua ad essere, da decenni, più lenta (molto più lenta) delle media europea. Solo per restare alle previsioni del 2015 la Germania stima una crescita dell’1,6%, la Spagna del 3,1%, la Francia dell’1,2%, la Gran Bretagna del 2,4%.
La frenata (si fa per dire) della Cina e delle altre economie emergenti (è sempre di ieri il dato del crollo del Pil brasiliano con un -4,5%, peggior risultato dal 1996) ha cambiato lo scenario di riferimento. L’export italiano, che comunque in un anno è aumentato del 3,5%, non riesce più a trainare l’economia (-0,8% rispetto al secondo trimestre). È chiaro che quel 20% circa di medie imprese innovative e globalizzate non è sufficiente per colmare tutte le lacune e i limiti del nostro apparato produttivo.
Articolo intero su La Repubblica del 02/12/2015.
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