LA SERA del 25, camminando per le strade di una Roma lercia e deserta, nel tepore malato di questo pseudo inverno, schivando letteralmente i topi di Castel Sant’Angelo e facendo attenzione a non scivolare sul guano del Lungotevere (chiuso ai motorini: troppe ossa rotte), nonostante le macchine della polizia fossero più numerose dei pullman di turisti la città più bella del mondo dava un’idea — straziante — di vulnerabilità. Sarà la psicosi del terrorismo, che ingigantisce pericoli di bassissima incidenza statistica;
sarà la crisi in Campidoglio insieme feroce e misera che ha in pratica incenerito ogni identità tradizionale (rossi e fasci) e azzerato ogni prospettiva; ma quella tracotanza cinica e plebea che rende Roma, a seconda del momento psicologico di chi la affronta, meravigliosa o insopportabile, non si avvertiva. Sotto i piedi bene attenti a dove mettersi, e tutto attorno nella stupefacente (sorrentiniana) cinematografia di palazzi, chiese, alberi smisurati, pietre transennate, senzatetto dormienti, gabbiani gracchianti e fantasmatici, statue e ombre di statue, la città appariva non antica né eterna ma vecchissima, lesa, sfinita. Come se fosse finalmente disposta ad ammettere di essere in pericolo.
Da La Repubblica del 27/12/2015.
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