La storia
A casa della “famiglia arcobaleno” di Giuseppina La Delfa e Raphaelle: “Non ci sono pregiudizi nei nostri confronti”.
SANTO STEFANO DEL SOLE (AVELLI-NO).
«Per noi è un momento storico. Possiamo vincere, dopo dieci anni di battaglie. O possiamo perdere, perché una parte del Parlamento non ci considera genitori degni di questo nome. Ma una cosa è certa: i nostri figli avranno i diritti di tutti gli altri bambini, e se la legge non passa saranno i tribunali e l’Europa a tutelarci». Parla con passione Giuseppina La Delfa, fondatrice delle “Famiglie Arcobaleno”, mentre cucina il pranzo della domenica, tagliatelle e filetti di pesce, destreggiandosi tra Lisa Marie che fa i compiti e Andrea, terremoto di tre anni, che scorrazza ovunque con la sua moto triciclo.
Fuori il nevischio copre la campagna di Santo Stefano del Sole, minuscolo borgo dell’Irpina, dove Giuseppina La Delfa vive ormai da vent’anni con Raphaelle Hoetdts, sua compagna da sempre e sua moglie dal 2013 in Francia. Nel 2005, quando in Italia nessun dizionario riportava ancora la parola “omogenitori”, Giuseppina, francese approdata in Italia per insegnare all’università di Salerno, ha fondato l’associazione “Famiglie Arcobaleno”, composta da coppie gay con figli, sul modello delle “Rainbow family” americane ed europee. «Eravamo in 17, tutte donne, avevamo bambini piccolissimi, oggi siamo in millecinquecento e i nostri ragazzi più grandi sono al liceo”. Bruna e decisa, così come Raphaelle è chiara e protettiva, Giuseppina non nasconde la sua emozione. “Il 28 gennaio saremo a Roma, davanti al Senato. Voglio guardare negli occhi chi deciderà della vita dei nostri figli, del loro diritto ad avere due genitori”. I bambini appunto. Il campanello di questa villetta curata con i giochi sul prato continua a suonare. Arrivano le amiche di Lisa Marie, ragazze di qui, Santo Stefano del Sole, duemila abitanti tra le montagne dell’avellinese, dove però l’integrazione sembra un fatto compiuto. Lisa suona Bach, Raphaelle accende il fuoco, Andrea chiede attenzione. «Mai una frase omofoba, mai un cenno di discriminazione verso i nostri figli. È difficile crederci, pensando che siamo al Sud, in un piccolo paese, ma è così. Anzi – raccontano insieme Giuseppina e Raphaelle – la nostra casa è diventata un punto d’incontro, i genitori sono ben felici che i loro bambini frequentino i nostri. Il parroco? Ci ignoriamo. La verità è che noi non ci siamo mai nascoste”. Continua Giuseppina. «Quando ero incinta di Lisa Marie, nata come Andrea con la procreazione assistita e la banca del seme, sono andata a presentarmi a tutti con il mio pancione, specificando che avevo una compagna e non un compagno. E quando Raphaelle ha partorito Andrea, la solidarietà è diventata doppia…”.
Dieci anni di battaglie e un traguardo che però più s’avvicina, “più sembra allontanarsi”. «Renzi è stato il primo presidente del Consiglio ad impegnarsi così a fondo per le unioni civili e per la stepchild adoption. A suo modo è stato coerente, ma adesso sembra che la ragione politica prevalga sui diritti dei bambini”. E dell’affido rinforzato le due mamme gay nemmeno vogliono parlare. “Uno schifo pensato da chi ritiene che in quanto gay valiamo meno come genitori, ma si vergogna ad ammetterlo. Allora meglio nessuna legge”. Dicono comunque che ne valeva la pena di combattere tanto, nonostante le delusioni, la diffidenza, gli insulti. «Ricordo lo sdegno di molti e gli anatemi di Carlo Giovanardi quando le nostre famiglie parteciparono per la prima volta al gay pride, con un trenino affittato per far divertire i bambini, la gente ci applaudiva dalle finestre, eppure anche all’interno del movimento omosessuale c’era chi pensava che potessimo diventare un ostacolo sulla strada dei diritti… ».
Articolo intero su La Repubblica del 18/01/2016.
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