NEW YORK – E’ di nuovo allarme-banche, dagli Stati Uniti alla Cina. Per ragioni molto diverse dalla crisi che affligge alcuni istituti creditizi in Italia, anche nelle due maggiori economie mondiali la finanza torna ad essere un focolaio d’instabilità. A prima vista misterioso, almeno per quanto riguarda Wall Street dove le banche hanno subito una “cura da cavallo” nel dopo-2009, a colpi di ricapitalizzazioni ingenti. Tant’è che i 31 maggiori istituti americani all’ultimo “stress test” somministrato dalla Federal Reserve vantavano 1.100 miliardi di capitali “common equity” contro i 460 miliardi del 2009. Anche la redditività è florida, per adesso.
Ma la Borsa ha paura lo stesso. Se ieri i mercati Usa erano chiusi per il Martin Luther King Day, venerdì c’era stata un’ecatombe dei titoli bancari. Caso emblematico, Citigroup aveva perso il 6,4% in una sola seduta pur annunciando profitti-record da un decennio. MorganStanley era scesa del 4,4%, Goldman Sachs del 3,6% e Bank of America del 3,5%. La causa principale, è la stessa che deprime le Borse: il petrolio. Le banche americane negli anni scorsi avevano finanziato generosamente l’industria estrattiva, dal gas al greggio. Col petrolio sceso sotto i 30 dollari a barile, i rischi default nell’industria del settore crescono a dismisura. Quindi aumenta la probabilità che alcuni prestiti bancari non vengano rimborsati. Risultato: un colosso come JP Morgan Chase ha già dovuto accantonare 124 milioni per perdite sui finanziamenti all’industria energetica e prevede che saliranno a 750 milioni. Citigroup sconta 600 milioni di perdite sui crediti a Big Oil, ma potrebbero raddoppiare se il greggio scende fino a 25 dollari. Peggio di tutte sta la Wells Fargo con perdite accertate di 1,2 miliardi per “il continuo deterioramento del settore energetico”: la banca di San Francisco sta seduta su un portafoglio prestiti da 17 miliardi all’industria petrolifera. Nessuno pensa, almeno finora, che si possa innescare una crisi paragonabile a quella dei mutui sub-prime. Le dimensioni dell’esposizione non sono paragonabili. E poi c’è di mezzo la legge Dodd-Frank, le ricapitalizzazioni che hanno portato il capitale di garanzia dal 5,5% al 12,5%. Resta il fatto che la Borsa ha di nuovo acceso un riflettore sui problemi del settore e considera le banche come un anello debole in questa congiuntura.
Articolo intero su La Repubblica del 19/01/2016.
[…] L’esposizione delle banche americane con i big del petrolio di Federico Rampini […]